Si fa sempre più critica la posizione di Alessandro Amigoni, il ghisa accusato di omicidio per aver sparato alle spalle a un ladruncolo cileno in fuga. In base alle ultime perizie, la sua arma era in perfetta efficienza e il colpo mortale sarebbe partito al massimo da 2,8 metri. Una distanza troppo ravvicinata per poter ipotizzare una disgrazia.
Il 13 febbraio una pattuglia di vigili urbani incrociò a Parco Lambro una Seat Ibiza con due persone a bordo che alla vista della Polizia tentò la fuga. La vettura fu raggiunta, i due occupanti scesero e iniziarono a correre inseguiti da quattro ghisa. Dopo pochi metri partì un proiettile dalla pistola di Amigoni, 36 anni, che colpì alla schina il cileno, 28 anni, clandestino e con qualche piccolo precedente. Il ghisa disse di aver visto una pistola in mano a uno dei due e per questo di aver sparato un colpo a terra da una quindicina di metri di distanza. La versione fu smentita da un collega che ridusse la distanza a non più di sette metri. E poi dallamico della vittima che si presentò dal giudice giurando che nessuno dei due aveva mai posseduto una pistola. Qualche giorno dopo sul posto, dietro segnalazione di una telefonata anonima al 113, venne effettivamente trovata una pistola. Ma era una scacciacani e su di essa non fu trovata nessuna impronta digitale ne tracced organiche da cui trarre il Dna.
E ora con le nuove perizie la posizione di Amigoni diventa ancora più difficile. Dario Redaelli, già ispettore capo del gabinetto di polizia scientifica, ha esaminato larma trovandola perfettamente efficiente.
Ora il pubblico ministero Roberto Pellicano attende lesito della consulenza medico legale per procedere con la richiesta di giudizio immediato per il vigile con laccusa di omicidio volontario con dolo eventuale.
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