Che bello, una donna così sgarbata

Anne Tyler riscrive "La bisbetica domata" nell'ambito delle celebrazioni shakespeariane

Che bello, una donna così sgarbata

La stanza nella quale entrò era minuscola, arredata solo con un tavolino da picnic e due sedie di metallo pieghevoli. Sul tavolo c'era un cartoccio, a quanto pareva il pranzo di qualcun altro. Posò il sacchetto per suo padre accanto a quello, poi raggiunse una porta e bussò un paio di volte decisa. Dopo un momento si affacciò suo padre: il cranio calvo vellutato era circondato da una sottile coroncina di capelli neri e sul volto olivastro spiccavano i baffi neri e gli occhiali tondi con la montatura a giorno. «Ah, Kate» disse. «Vieni.»

«No, grazie» disse lei. Non sopportava gli odori di quel posto: l'odore acre e pungente del laboratorio e quello di carta, polveroso, nel locale dei topi. «Ti ho lasciato il pranzo sul tavolo» tagliò corto. «Ciao.»

«Aspetta!»

Suo padre si girò a parlare con qualcuno nella stanza dietro di sé. «Pyoder? Vieni a salutare mia figlia.»

«Devo andare» disse Kate.

«Non credo che tu conosca il mio assistente» disse suo padre.

«Fa lo stesso.»

Ma la porta si aprì di più e accanto a suo padre comparve un uomo solido, muscoloso, con i capelli biondi lisci. Il suo camice bianco era talmente sporco da fare quasi il paio con il grigio chiaro della tuta del dottor Battista.

«Wow!» esclamò, o qualcosa del genere. Guardava Kate con ammirazione. Gli uomini assumevano spesso quell'espressione la prima volta che la vedevano. Solo per via di un po' di cellule morte: i suoi capelli, di un nero dai riflessi bluastri, ondulati, che le arrivavano fin sotto la vita.

«Ti presento Pyoder Cherbakov» disse suo padre.

«Pëtr» lo corresse l'uomo, senza soluzione di continuità tra la T sonora e la R compressa e rotolante. E «cerbacëv», detto con uno scoppiettio di consonanti assortite.

«Pyoder, ti presento Kate.»

«Salve» disse Kate. «Ci vediamo dopo» disse a suo padre.

«Pensavo potessi fermarti un momento.»

«A fare cosa?»

«Be', dovrai riportare a casa il contenitore del pranzo, giusto?»

«Be', potresti riportarlo a casa tu, giusto?»

Un verso improvviso molto simile a un ululato fece spostare a entrambi lo sguardo in direzione di Pëtr. «Proprio come le ragazze di mio Paese» esclamò raggiante. «Così sgarbate.»

«Proprio come le donne» lo corresse Kate in tono di rimprovero.

«Sì, anche loro, anche le nonne e le zie.»

Kate rinunciò. «Papà» disse, «ti ricordi di dire a Bunny che la deve smettere di lasciare tutto per aria quando invita gli amici? Hai visto com'era conciata la stanza della tv questa mattina?»

«Sì, sì» disse suo padre ma mentre parlava stava rientrando nel laboratorio. Tornò spingendo davanti a sé un alto sgabello con le rotelle. Lo parcheggiò vicino al tavolo. «Siediti» disse.

«Ho da fare in giardino.»

«Kate, ti prego. Non mi fai mai compagnia.»

Lei lo guardò con tanto d'occhi. «Compagnia?»

«Siedi, siedi» le disse indicando lo sgabello. «Se vuoi ti do un pezzo del mio panino.»

«Non ho fame.» Tuttavia si sistemò sullo sgabello con aria impacciata, continuando a guardarlo.

«Pyoder, siediti. Se vuoi do un pezzo del mio panino anche a te. Me l'ha preparato Kate con le sue manine: burro di arachidi, miele e pane integrale.»

«Sai che non mangio burro di arachidi» gli disse Pëtr severo. Prese una delle sedie pieghevoli e si accomodò di fianco a Kate. La sedia era decisamente più bassa dello sgabello e Kate vide che lui cominciava a perdere i capelli sulla sommità del cranio. «Al mio Paese arachidi sono cibo per maiali.»

«Ah ah» rise il dottor Battista. «Molto divertente, vero, Kate?»

«Cosa?»

«Loro mangiano con guscio» precisò Pëtr.

Aveva qualche problema con gli articoli, notò Kate. E le vocali non duravano abbastanza. Lei con gli accenti stranieri si spazientiva in fretta.

«Ti sei sorpresa che ho usato il cellulare?» le chiese suo padre. Era tuttora in piedi, per qualche motivo, ed estrasse il cellulare da una tasca della tuta. «Avevate ragione voi ragazze, può essere comodo» disse. «Comincerò a usarlo più spesso.» Lo guardò con aria perplessa per un momento, quasi cercasse di ricordare cosa fosse. Poi pigiò un tasto e lo sollevò davanti a sé. Strinse gli occhi, e fece diversi passi indietro. Si udì uno scatto. «Visto? Fa anche le foto» disse.

«Cancellala» gli ordinò Kate.

«Non so come si fa» le disse lui, poi il telefono scattò di nuovo.

«Accidenti, papà, siediti e mangia che voglio tornare a casa, ho da fare.»

«Va bene, va bene.»

(Da «Una ragazza intrattabile», Rizzoli, pagg. 208, euro 19,50)

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