diLa mia vita con i Beatles era diventata una trappola. Un nastro che girava a vuoto. Avevo già fatto qualche breve escursione per conto mio, avevo scritto dei libri e avevo collaborato alla loro riduzione teatrale per una rappresen- tazione al National Theatre. Avevo persino girato un film senza gli altri (un film pessimo, diretto da quel cazzone in cerca di potere di Dick Lester). Ma avevo girato il film come reazione al fatto che i Beatles avevano deciso di smettere di andare in tournée, più che per un'autentica scelta di indipendenza. Sebbene già allora (era il 1965) i miei pensieri fossero rivolti alla libertà. Sostanzialmente a mandarmi nel panico era l'idea di «non avere niente da fare». Cos'era la vita, senza le tournée? Era la vita, ecco cosa. Ricordo sempre di ringraziare Gesù per avere posto fine ai miei giorni in tournée; se non avessi detto che i Beatles erano «più grandi di Gesù» e di conseguenza sconvolto il cristianissimo Ku Klux Klan, be', Signore, forse sarei ancora lassù sul palco con le altre pulci ammaestrate! Dio benedica l'America. Grazie. Gesù. Quando finalmente ebbi il coraggio di dire agli altri tre che io, aperte le virgolette, volevo il divorzio, chiuse le virgolette, sapevano che dicevo sul serio, a differenza delle minacce di andarsene fatte da Ringo e George in precedenza. Devo dire che mi sentii in colpa per averglielo comunicato con un preavviso così breve. Dopotutto, io avevo Yoko, mentre loro avevano solo gli uni gli altri. Mi sentii tanto in colpa da accreditare McCartney come coautore del mio primo singolo da indipendente, malgrado la vera coautrice del pezzo fosse stata Yoko («Give Peace a Chance»).
Ero stato io a creare la band. Fui io a scioglierla. È tutto qui.
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