di Filippo Cavazzoni
In una società libera, chi riceve un sussidio pubblico per girare un film si espone inevitabilmente a polemiche. Se il film risulterà un flop allora avremo uno sperpero di risorse pubbliche (perché dare soldi pubblici per un'opera senza spettatori?). Se il film presenta contenuti «discutibili» allora avremo persone che sentiranno la propria sensibilità offesa (perché un contribuente dovrebbe finanziare opere che urtano le proprie convinzioni morali?). Si tratta di considerazioni generali, a prescindere da questo o quel titolo oggi nelle sale. Il finanziamento diretto alle opere cinematografiche è contestabile sotto diversi punti di vista: è dirigista, è discrezionale, è causa di sprechi. Non esistono modalità differenti per sostenere il cinema italiano? Oggi la produzione di pellicole ha grossomodo un duplice aiuto economico dello Stato: da una parte in forma di finanziamenti diretti erogati per mezzo del Fondo unico per lo spettacolo (Fus); dall'altra come credito d'imposta per agevolare gli investimenti privati. Meccanismi che rispondono a una medesima logica (aiutare la produzione nostrana di film) ma con modalità differenti: con scelte calate dall'alto oppure provenienti dal basso. È infatti differente prevedere che una Commissione di «nominati» diriga arbitrariamente le risorse pubbliche, oppure che un soggetto privato scelga liberamente dove dirottare le proprie risorse allettato da un fisco agevolato. Ovviamente, trattasi di semplificazioni (perché il glorioso Cinepanettone - nonostante alcuni tentativi - non può godere di aiuti di Stato) ma credo rappresentativi di due approcci diversi di intendere l'intervento pubblico nella produzione culturale del nostro Paese.
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