Scioperi, privilegi, indennità E i teatri diventano ingestibili

Scioperi, privilegi, indennità E i teatri diventano ingestibili

Un altro teatro d’opera è in bancarotta. È il Petruzzelli di Bari, l’ultimo di una lista. La procedura è consolidata: conti in rosso, caos, commissariamento, piano anticrisi. Il sistema dei teatri d’opera evidentemente non funziona più.
Punto numero uno. Un teatro vive dei sostegni privati e pubblici: erogati in ritardo e sempre più esigui. Difficile pianificare dato il clima di precarietà. Esempio. Il Sovrintendente del Carlo felice di Genova, Giovanni Pacor, spiega che «il 2011 si è chiuso con un + 2,6 milioni di euro, però abbiamo pagato mezzo milione di interessi poiché i fondi sono arrivati tardi». D’accordo, si taglia troppo, e male. Però, e siamo al punto numero due: anche l’azienda-teatro dovrebbe muoversi con uno spirito d’impresa. Al sovrintendente si chiede un approccio da manager. «Chi gestisce la cultura dovrebbe avere una formazione manageriale adeguata, e spesso non è così.
Ovunque sono stati fatti tagli drastici, la situazione è di emergenza. In Inghilterra si sta investendo molto sulla formazione della leadership: un esempio da esportare». Così Brett Eagan, laurea alla Harvard, direttore del DeVos Institute of Arts Management del Kennedy Center di Washington, ente che crea programmi su misura per manager delle arti. Curiosità. Abbiamo chiesto quanti italiani seguono i corsi d’aggiornamento. «Abbiamo iscritti da 40 Paesi, ma nessun italiano».
La professione del sovrintendente non conosce confini territoriali. Al timone del teatro italiano numero uno, la Scala, c’è il francese Lissner. Un austriaco, Pereira, rilanciò il teatro di Zurigo. Perché i nostri sovrintendenti non varcano mai le Alpi?
Al momento, solo un italiano lavora all’estero. È Stefano Mazzonis, prima sovrintendente di Bologna e ora all’Opera di Liegi. Sei anni fa, a Bologna, gestiva un budget di 24 milioni di euro, ora di 18, a fronte di una produttività equivalente. Quanto allo stipendio. «È il 30% più basso di quello italiano. A inizio mandato, guadagnavo la metà di chi mi era subentrato a Bologna. Le mensilità sono 12 per tutti e non esistono indennità». Si guadagna di meno, però ci sono altre compensazioni. Si parte dal rapporto con i sindacati. «Qui nessuno batte pugni sul tavolo. Il rapporto è trasparente e civile. Ci incontriamo ogni trimestre per fare il punto sullo stato del bilancio. Non c’è la pletora di sigle sindacali, ne abbiamo solo una. Scioperi? In cinque anni mai». L’azienda-teatro è snella. «Abbiamo 70 orchestrali e 40 coristi. In Francia il 95% dei teatri non ha più di 30 coristi. Il Covent di Londra ne ha 48, Firenze 90 e Bologna 70». Per dire.
Come risanare i teatri, come porre rimedio alle anomalie che sommate ai tagli drastici e incoerenti delle risorse minano i teatri? Lo abbiamo chiesto anche a chi si occupa di teatro ma non di opera, utile una voce fuori dal coro. È Stefano Curti, artefice dei successi del Rossetti di Trieste (+ 20% di vendite di abbonamenti), ora mecca del musical in Italia. «I teatri devono generare economia, aumentare la produttività ed essere vicini alla gente. Frequento molto il mondo anglosassone che mi ha instillato il senso di teatro come un qualcosa da consumare, non è un museo. Temo che il teatro d’opera non sia più al passo coi tempi».
Angelo Gabrielli, al timone dell’agenzia di artisti Stage Door (un tempo includeva anche Pavarotti) parte dalla sala dei bottoni. «Il compenso dei sovrintendenti dovrebbe essere legato ai risultati, come gli amministratori delegati delle grandi aziende pubbliche, ai quali il Primo Ministro ha messo un tetto. Sarebbero così motivati a impostare una squadra di lavoro davvero efficiente. Poi non dovrebbero avere le mani legate». Legate da chi? «Dalla politica, dai sindacati, da categorie intoccabili. C’è un divario tra artisti freelance e dipendenti intoccabili».
Altra cosa: urge flessibilità. «Ci sono mesi in cui gli artisti non sono impegnati per tutte le ore o i giorni del contratto, mentre in altri periodi si deve ricorrere a straordinari perché i carichi di lavoro eccedono il normale. Non tutte le opere hanno le stesse durate né i medesimi organici, quindi bisognerebbe o inventarsi concerti aggiuntivi con gli elementi rimasti inattivi o stabilire un monte ore stagionale o annuale».
Sulla flessibilità punta Francesca Colombo, la più giovane sovrintendente d’Italia (del Maggio di Firenze). «Deve passare il messaggio, in tutti i settori del teatro, che vi sono picchi lavorativi, eccedenze di ore poi bilanciate da momenti di calma. Se si suona di più per il proprio ente senza sforare l’orario complessivo e nel rispetto della specificità del proprio strumento, non è poi corretto avanzare altre pretese». Una elasticità che forse si scontra con i cavilli di un contratto nazionale bisognoso di aggiornamento. «E' assolutamente urgente un rinnovo del contratto, un contratto basato sulle esigenze dei teatri d’opera di oggi. Ci stiamo lavorando». E poi ancora: «Al ministro e ai sindacati abbiamo già trasmesso una bozza dove rimarchiamo, tra le altre urgenze, l’esigenza di flessibilità per tutti i settori. Vorremmo poi che venisse eliminato il meccanismo per cui il FUS si adegua anche alla pianta organica.

Le sovvenzioni non dovrebbero essere rapportate al numero dei dipendenti (al Maggio 496, di cui 396 a tempo indeterminato - ndr) ma alla produttività, ai progetti internazionali, alla capacità di coinvolgere il pubblico. Insomma a criteri meritocratici».
(1. Continua)

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