Il potere federale negli Stati Uniti erode quello dei singoli Stati da un secolo e mezzo. È solo in questa prospettiva che lo spettatore italiano può capire il contesto di Fuori controllo (in originale, Edge of Darkness, margine oscuro) di Martin Campbell, dove un odierno poliziotto (Mel Gibson) del Massachusetts, non vede come colleghi, tanto meno come amici, i poliziotti federali (Fbi). Anzi, il nemico principale della legalità e della legittimità sono loro; loro e i contractors dei servizi segreti privati delle grandi aziende.
Che lo denunci Mel Gibson in un film di cui è protagonista e ispiratore (senza di lui chi avrebbe portato sul grande schermo una vecchia serie tv della Bbc?), e non Sean Penn o George Clooney, la dice lunga sulla vastità e la profondità del disagio davanti a quella che il senatore Fullbright, ai tempi della guerra americana in Indocina, chiamava «larroganza del potere». E conferma quando una governance autoproclamata si sia sovrapposta al governo eletto.
Altre qualità, più estetiche che politiche, di Fuori controllo sono assenza di maturi innamoramenti, di liceali in calore, di bandiere al vento, di un finale che capovolga ciò che sè visto prima (come in Shutter Island), di un ritmo frenetico fino allincomprensibile. Difetti ci sono, magari aggiunti nella versione italiana, dove il ricorrente termine «classified» è tradotto con top secret, che corrisponde solo al grado più alto di ciò che è «classified».
Mel Gibson ha il coraggio di non celare la sua età e la sua statura (spesso lo si vede sovrastato da altri attori) e la desolazione in cui sopravvive il suo personaggio. È talmente insignificante il suo poliziotto in cerca di vendetta per la figlia assassinata che il maturo sicario britannico che deve ucciderlo ne ha pena.
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