La morale si ferma al limite dell'area Ma siamo tutti Pinilla

La morale si ferma al limite dell'area Ma siamo tutti Pinilla

di Giuseppe De Bellis

William McCrum non lo sapeva: inventò il calcio di rigore per regalarlo ai simulatori. «Se mi toccano, io comunque mi butto». Mauricio Pinilla come gli altri, come mezzo mondo di attaccanti che si tuffano. La morale si ferma al limite dell'area. Dentro è un altro mondo. O forse è quello vero: la furbizia vince sulla bravura, il più sveglio frega gli altri, il più piccolo è sempre svantaggiato. C'è un mucchio di gente che si scandalizza adesso per il fatto che l'attaccante del Cagliari non sia stato squalificato: si vede in tv, il fallo non c'era, lui invece è caduto, ha avuto il rigore, ha calciato, ha segnato. Ha esultato. Ha fatto bene. Perché a parti opposte avrebbero fatto così, perché tutti avrebbero fatto lo stesso. Non si tratta di stabilire se è giusto o sbagliato, ma semplicemente di prendere atto che è così. Il rigore è la vita, undici metri di tutto. È una metafora, ma pure un liofilizzato di mondo che si chiude in un'azione. Il rigore è stato caricato di una responsabilità che non poteva sopportare. È degenerato, s'è lasciato andare, s'è adattato al palcoscenico e ai suoi attori. È un condensato di umanità, in fondo: portiere contro attaccante, come il bianco contro il nero, come il male contro il bene, come la vita contro la morte. Avere un rigore è l'opportunità che ti può servire per cambiare la tua esistenza: cercarlo a ogni costo, buttarsi, simulare è semplicemente naturale.
Sì, McCrum non lo sapeva, ma forse poteva immaginarlo. Perché quando non c'era il rigore, i rapporti di forza erano soltanto invertiti. Oggi il potere è degli attaccanti, all'epoca era dei difensori. Perché la storia del rigore alla fine è questa: William McCrum era un produttore di lino. Giocava a pallone, nel Milford Everton, in Irlanda del Nord. Portiere. In una partita, un avversario gli arrivò vicino vicino e prima di poter calciare fu scaraventato per terra. Il regolamento era semplice e chiaro per tutti: punizione. Ma Willie decise di prendere il pallone e spiegare che era più giusto punire i falli così vicini alla porta con un tiro «libero»: attaccante e portiere, divisi solo da una distanza di 12 yard. Improvvisò: l'attaccante e lui. Gol. William comunicò la sua idea a Jack Reid, il segretario generale della Irish football association che nel 1886 aveva partecipato alla nascita dell'International Board. La proposta di McCrum venne portata da Reid alla successiva riunione del board. Rigettata, scartata, cestinata. Irrisa, perché era un oltraggio allo spirito combattente dello sport anglosassone. L'anno dopo, la svolta. Il 2 giugno 1891, in un'altra riunione dell'International Board, nell'Hotel Alexandra di Glasgow, la mozione irlandese venne approvata. Il rigore era diventato ufficiale, William McCrum scomparve dalla storia dell'umanità lasciandole in dono questa cosa che sarebbe diventata molto più che una regola del gioco del football: cinematografia, letteratura, politica, filosofia. Per parlare di un rigore si tirano in ballo Aristotele ed Eraclito, viene sempre fuori Osvaldo Soriano o Peter Handke, finisci spesso a una scena di Mediterraneo o di Fuga per la vittoria. Portiere e attaccante sono due controfigure del mondo, interpreti di ruoli che fuggono dal calcio ed entrano nella vita. Rigore diventa la parola chiave di una dottrina politico-economica. Rigore è sinonimo di un dovere. Però è pure l'opportunità massima, l'occasione che aspetti. La cerchi, ovunque sia.
Una linea bianca è l'inizio di una terra dove questa possibilità diventa reale: se la prendi, sei tu contro un altro, ma in un gioco di squadra.

Il trucco per ottenerla è come la raccomandazione nella vita: non è bella, ma c'è. Devi farci i conti: William McCrum voleva mettere rimedio a un'ingiustizia, ma ha finito per creare tante altre ingiustizie. Oggi lo rifarebbe, ma al suo attaccante direbbe nell'orecchio: «Se ti toccano, buttati».

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