di Piero Evangelisti
«Contrordine compagni!»: ricorda un po' Giovannino Guareschi e il suo Peppone, spesso obbligato a usare questa espressione, quello che sta succedendo da alcuni mesi nell'industria automobilistica mondiale che, dopo aver dato praticamente per raggiunta la guida autonoma, in un'autentica fuga in avanti, supportata da analisti che la indicavano già come il vero business dell'immediato futuro, si sta ritirando su una nuova definizione: «guida assistita», molto più aderente alla dotazione attuale delle auto e in qualche modo tranquillizzante per chi vede nell'automobile un mezzo che è sinonimo di libertà e di piacere di guida.
L'incidente mortale che ha visto coinvolta negli Stati Uniti una Tesla che viaggiava con il pilota automatico inserito, sebbene preoccupante (fino a oggi le Google car sperimentali sono incorse soltanto in incidenti non gravi), non è la causa diretta di questo ripensamento sulle self drive car, siamo invece di fronte a una profonda riflessione sulle reali possibilità di affidare la vita delle persone all'intelligenza artificiale di un veicolo nelle condizioni attuali delle strade di ogni parte del mondo, abbandonando, per il momento, l'idea di sfruttare in termini (...)
(...) di marketing (e il sospetto che alcuni brand se la stessero giocando su questo piano è molto forte) l'auto che guida da sola.
Sulle strade di prototipi di autonomous car ce ne sono in giro a centinaia di quasi tutti i costruttori, Psa, per esempio, ha recentemente comunicato che alcune C4 Picasso a guida totalmente autonoma hanno già percorso 60mila chilometri. È da questi test nel normale traffico, sia urbano sia autostradale, che arrivano i report che segnalano la difficoltà di integrazione delle auto a guida autonoma che hanno bisogno di infrastrutture impeccabili, praticamente su misura, per poter compiere tutte le manovre per le quali sono attrezzate. Rallentare il processo di automatizzazione dei veicoli non significa, tuttavia, fermare lo sviluppo di tecnologie che li stanno rendendo sempre più sicuri sotto il profilo della prevenzione, e pensiamo, prima di tutto, alla frenata automatica, ai cruise control intelligenti e al Lane Departure Assist che arriva a correggere l'involontario cambio di corsia. Un ultimo nodo da sciogliere per la guida autonoma è di ordine etico: nasce dal fatto che l'intelligenza artificiale che può essere montata su un'auto viene comunque «scritta» con algoritmi che sono opera dell'uomo. Dunque, è che qualcuno dovrà decidere come l'auto si comparta nelle situazioni di emergenza, anche le più critiche, quando si deve scegliere tra un danno maggiore e uno minore, tra l'incolumità di chi viaggia a bordo del veicolo e quella dei soggetti esterni, quasi sempre più deboli, come ciclisti e pedoni.
Se la corsa verso la guida autonoma è in fase di rallentamento, altrettanto non si può dire della connettività che alla prima è sicuramente legata, ma che può crescere in modo indipendente rendendo guidatore e passeggeri collegati in modo sempre più ampio ed efficiente con il mondo esterno. Cresce, a bordo delle vetture, la realtà virtuale con cruscotti e grandi display digitali attraverso i quali si controlla la maggior parte delle funzioni dell'auto.
Apparentemente ergonomici, perché radunano in poco spazio comandi altrimenti sparpagliati tra cruscotto plancia e console, questi schermi mancano di quella intuitività spesso vantata da designer e ingegneri, e richiedono, per il loro uso, operazioni ben più complesse, per esempio, della digitazione di un numero sullo smartphone. Indispensabile, per non fare un passo indietro dal punto di vista della sicurezza, è la loro gestione attraverso comandi vocali. Un'ultima riflessione la dedichiamo al futuro delle green car.
In questo caso non ci sono ripensamenti tra i costruttori, soltanto qualche aggiustamento di tiro che ridimensiona le elettriche pure e privilegia, nelle strategie delle Case, la propulsione ibrida plug-in.Piero Evangelisti
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