la stanza di Mario CerviIn Italia i controllori non li controlla (quasi) mai nessuno

L'opinione pubblica, spinta da media dozzinali, è ormai convinta che le banche siano opere pie per cui, se uno ha un'idea anche balzana di produrre una merce, la banca ha il dovere di finanziarlo. Dall'altro lato c'è chi porta il denaro in banca e vuole ritrovarcelo intatto quando andrà a ritirarlo. La funzione della banca è prestare a chi è in grado di restituire. Chi vuole mettere in piedi un'impresa ma non ha basi finanziarie proprie, deve ricorrere al capitale dei soci (magari cooperativi) o astenersi dal fare l'imprenditore. Questa è la dura legge del mercato e nessuna ideologia può mutarla. La Costituzione incoraggia e protegge il risparmio e non le idee fantasiose dei perdigiorno senza né arte né parte che seminano confusione fra la gente semplice. Parimenti, sostenere le banche con denaro pubblico significa tutelare i risparmiatori, non le banche.
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Caro amico, pur essendo privo d'una adeguata conoscenza dei meccanismi finanziari ritengo di poter dire che sono d'accordo con lei sui compiti delle banche. Le quali, non essendo opere pie, devono prestare oculatamente il denaro affidato dai clienti e farlo fruttare. La loro prudenza, se esiste, può essere magari criticata ma deve essere capita. Il guaio è che in innumerevoli casi la prudenza non è esistita e non esiste. Il guaio è che entità bancarie importantissime come il Monte dei Paschi di Siena hanno assoggettato le loro decisioni dissennate alla politica incenerendo miliardi di euro. Il guaio è che i responsabili di immani disastri hanno percepito emolumenti faraonici e incassato liquidazioni scandalose. Il tutto avveniva nel silenzio e nella noncuranza dei maestosi organi di vigilanza. Chi doveva vedere e agire si è a lungo distratto. Ma l'Italia è per lunga tradizione longanime con i controllori negligenti. Consentitemi un ricordo di ex cronista giudiziario. Giusto mezzo secolo fa si scoprì che il direttore della dogana di Terni, Cesare Mastrella, s'era appropriato d'un miliardo di lire. Il malversatore fu condannato a una pena pesante e due ispettori ministeriali che a Terni s'erano avvicendati per verificare se tutto fosse a posto - ripartendo da Terni con elogi sperticati per il direttore - furono per tutta punizione collocati a riposo.

I due fecero ricorso alla giustizia amministrativa che diede loro ragione, reintegrandoli nelle funzioni e negli emolumenti. La vita da nababbo del Mastrella non aveva nulla di anomalo, era logico che i suoi conti fossero ritenuti inattaccabili.

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