Caro Cervi. Ho un'età di non molti anni inferiore alla Sua, e ciò mi consente e mi permette di ritenermi vicino a Lei per quanto riguarda l'apprendimento della corretta lingua italiana, basato sulla solida lingua madre: il latino. Nella liturgia cattolica della Messa secondo il messale formulato in lingua italiana a seguito del Concilio Vaticano II, si legge, fra l'altro, l'invocazione, precedente la Comunione, «Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo
». L'originario testo latino formulato nel messale preconciliare recita «Agnus Dei qui tollit peccata mundi...». Il verbo latino «tollere» non è traducibile in italiano nel «togliere» ma bensì nel più pregnante «addossarsi, prendere su di sé». Tornando al punto, osservo quindi che il Cristo non ha semplicisticamente «tolto» i peccati del mondo, come impropriamente risulta nella infelice traduzione postconciliare, ma se n'è fatto carico. Mi meraviglia molto che il pregnante testo latino sia stato tradotto ed adottato nella imprecisa ed infelice dizione italiana come risulta nel Messale postconciliare, ma mi meraviglia ancor più che tale imprecisione non stata ancora rilevata dalle autorità ecclesiastiche.
Montebelluna (TV)
Caro Parolin,
mi fa piacere veder sottolineata quella che a lei e anche a me sembra una sciatteria linguistica grave. Grave perché riguarda la Messa: che, come dispone la liturgia postconciliare, in Italia viene celebrata in italiano. Non per vantarmi, ma l'anomalia che lei deplora l'ho da tempo rilevata anch'io. Non occorre avere approfondito al massimo livello i misteri del latino, dell'italiano, e del messaggio evangelico, per capire che quel «tollere» tradotto in «togliere» è, se vogliamo usare un eufemismo, approssimativo. Temevo tuttavia d'essere impertinente, denunciando lo svarione, e di meritarmi magari un dotto rabbuffo delle gerarchie ecclesiastiche. Adesso sono più tranquillo. Pare proprio che i «padri» abbiano sbagliato. «Quandoque dormitat», a volte dormicchia anche Omero. Qui hanno dormicchiato in tanti. Non è che io voglia accanirmi, noi giornalisti siamo famosi per gli errori che disseminiamo in articoli e titoli, il nostro è un pulpito inadatto per muovere rimproveri. Tuttavia mi riservo un'osservazione.
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