È il 1955 e una giovane dellalta borghesia londinese decide di aprire un negozio di abbigliamento. La boutique si chiama «Bazaar» e, in poco tempo, si trasforma in un tempio della moda: perché lei è Mary Quant, e perché la sua vetrina si affaccia su Kings Road. Già allora è la via più famosa nel quartiere più esclusivo di Londra, Chelsea: King's Road non è soltanto una strada, è un vero e proprio mondo. E continua ad accendere la fantasia, tanto che Max Décharné ha deciso di raccontarne la storia in un libro uscito da poco nel Regno Unito e dal titolo un po' nostalgico: The Rise and Fall of the Hippest Street in the World.
Crescita e declino hanno ondeggiato come un'altalena nellevoluzione di questa «road» che, già nell'Ottocento, era la via bohemien per definizione: qui si forma una colonia di pittori e scrittori dalla vita tormentata, come Dante Gabriel Rossetti, pionere del movimento Preraffaellita, mentre a due passi alloggia J.M. William Turner, il padre del paesaggio romantico inglese. Poi, negli anni 50 e 60 del Novecento, diventa il centro del mondo, della Swingin London e della vita modaiola e danarosa. Un po ha contribuito Mary Quant, col suo genio di stilista; un po i Beatles e i Rolling Stones, che qui hanno abitato. Negli anni 70 la via di Carlo II (è lui il re a cui è dedicata) ospita anche «Sex», il negozio di Vivienne Westwood e vede gli albori del movimento Punk. Quindi torna, quieta, all'ombra dell'eleganza di Chelsea, la zona più chic e costosa della capitale.
Kings Road è una storia a sé, racchiusa nella ragnatela di una mappa molto più vasta e insieme pronta, in ogni istante, a squarciarla: perché anche una via può essere una realtà a parte. E perciò anche le strade, come Calvino diceva delle sue «Città invisibili», non vanno distinte fra «felici e infelici»: la categoria in gioco è unaltra, è la differenza fra quelle «che continuano attraverso gli anni e le mutazioni a dare la loro forma ai desideri» e quelle in cui «i desideri o riescono a cancellare la città o ne sono cancellati».
E il desiderio prende le forme più imprevedibili, a partire dalle vetrine luccicanti di via Montenapoleone, a Milano, dove il «quadrilatero» della moda è, in realtà, una circonferenza, e il centro è questa strada, che non affascina soltanto turisti e giapponesi, ma ha esercitato la sua attrazione persino sulla macchina da presa, nell'omonimo Via Montenapoleone di Carlo Vanzina. Moda che passa per abbigliamento d'elite e gioielli ma, anche, per negozi dalle architetture sempre più innovative, perché anche l'edificio deve stupire, creare uno stile nello stile, lasciare a bocca aperta anche la fashion-victim più smaliziata, perché la moda da qui parte, non arriva.
A Roma invece c'è una strada dove protagonista è il cinema. È via Vittorio Veneto, il cuore della Dolce vita romana e felliniana, fra alberghi di lusso e locali storici: come il Doney o il Rosati, ai cui tavolini, negli anni '60, sedevano intellettuali, pittori, scrittori e, soprattutto, gli attori. Aspiranti divi, volti già famosi, miti di Hollywood: tutti passavano per questa via-passerella, resa immortale da Anita Ekberg e Marcello Mastroianni. E, ancora oggi, il tratto fra Porta Pinciana e piazza Barberini è la strada delle celebrità, con i suoi hotel (come l'Excelsior), i suoi bar (è comparso anche l'Hard rock cafè), l'ambasciata degli Stati Uniti.
Quasi all'opposto, San Biagio dei Librai, così al centro del capoluogo campano da essere ribattezzata, fin dall'Ottocento, «Spaccanapoli»: decumano della città romana, strada ricca di palazzi aristocratici e chiese ma, soprattutto, simbolo popolare e concreto, solco che divide e insieme emblema della cultura materiale napoletana, tanto che, oggi, un gruppo di musica folk non ha trovato nome più appropriato.
Ci sono le vie che concentrano un'intera città, come la Quinta Strada, immancabile in ogni film girato su sfondo newyorkese, sfilata dei luoghi più celebri della Grande Mela, dal Rockefeller Center alla cattedrale di St. Patrick, fino all'Empire State Building. La Fifth Avenue non è sola, perché, fra negozi extralusso e luoghi-culto, arriva a incrociare uno dei volti del mito americano, Broadway: la strada che attraversa tutta Manhattan, la casa del musical, il sogno che va in scena, tanto che, ormai, è diventato un marchio a sé stante, è una via ma è, allo stesso tempo, la fama, il successo.
E poi ci sono le strade hippy: ancora Londra, con Carnaby Street, rivale di King's Road durante gli anni della cultura beat e, oggi, mondanissimo magnete commerciale; e, dall'altra parte dell'oceano, Haight-Ashbury, l'incrocio dove è nata la cultura dei figli dei fiori. È la San Francisco senza freni, quella amata dai fan di Armistead Maupin, quella che cerca ancora il numero 28 di Barbary Lane.
Perché le vie nascono, e vivono, anche nella letteratura: come Baker Street, sede, al 221, dell'ufficio (oggi museo) di Sherlock Holmes. O come rue de Belleville, fulcro dell'omonimo quartiere e dei romanzi di Daniel Pennac e del suo sogno di una Parigi multietnica, casa dell'autore e del suo monsieur Malaussène. C'è il San Frediano di Pratolini, portato al cinema da Zurlini; c'è la San Pietroburgo di Dostoevskij, dove non manca mai la colossale Prospettiva Nevsky, protagonista anche di un racconto di Gogol.
Nello sguardo del flaneur, poi, non può che esserci Parigi, la Montmartre degli artisti, da Van Gogh a Toulouse-Lautrec a Manet e, in particolare, la rue Cortot, dove, al numero 12, si sono avvicendati gli atelier di Renoir, Utrillo, Delcourt.
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