A metà agosto i soldati afghani, appoggiati dai corpi speciali americani e italiani, erano entrati senza sparare un colpo nel villaggio di Shewan. I talebani sembravano svaniti nel nulla, invece sono ricomparsi con azione mordi e fuggi, fino ai violenti scontri di giovedì.
Lo scorso luglio alcune centinaia di talebani spadroneggiavano nel remoto villaggio della provincia di Farah, la più meridionale sotto comando italiano. I fondamentalisti distribuivano i giornali della guerra santa alla popolazione e piazzavano trappole esplosive al passaggio delle forze di sicurezza afghane. Tra il 14 e il 19 agosto i soldati del 207° Corpo darmata afghano, assieme ai reparti speciali italiani e americani della Combined Joint Task Force 82, avanzarono verso Shewan. Durante loperazione furono scoperti depositi di droga e di armi, che dimostrano lalleanza tra i fondamentalisti e i signori delloppio. «Non ricordo un uguale successo per unoperazione di tali dimensioni. Non abbiamo sparato un solo colpo e nessuno è rimasto ucciso», aveva dichiarato il generale Abdul Rahman Sarjang, capo della polizia nella provincia. Secondo lui, «Shewan era uno dei posti più pericolosi dellAfghanistan», ma i talebani sembravano volatilizzati.
Fonti del ministero dellInterno afghano hanno rivelato al Giornale che in realtà i fondamentalisti avevano rialzato la testa fin dal 20 agosto, subito dopo lingresso pacifico a Shewan delle truppe afghane con gli alleati della Nato. Linsediamento di un presidio, che doveva garantire la sicurezza della strada verso il capoluogo della provincia, non è servito a molto.
Il problema è che a Farah siamo in prima linea: il 7 settembre i militari italiani hanno scoperto un deposito di armi che «conteneva 198 bombe da mortaio, tre lanciarazzi RPG e innumerevoli scatole di munizioni di vario calibro». Una settimana prima una mina aveva ferito tre soldati italiani nella zona di Daulat Abad, e il 22 agosto un convoglio in pattuglia si era scontrato con una trentina di talebani.
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