Caro direttore,
sto vedendo la trasmissione «Domenica In» condotta da Giletti. Si parla di raccomandati. Lei è ospite e, intervenendo, ha appena ribadito la necessità di denunciare. Lei forse non sa come viene gestita la giustizia al sud... E allora voglia raccontarle il mio caso. Non avendo santi in paradiso, ma solo un po di preparazione, unita e tanto coraggio, ho deciso di aprire un'attività. Fino a qui niente di strano. I problemi iniziano con la burocrazia: nella mia città, infatti, si blocca tutto. E se non appartieni al figlio di o al politico di turno si inceppa la tua domanda e per farla disinceppare ti chiedono la tangente. Sono andato dal giudice personalmente per denunciare questa estorsione e lui mi ha inviato da un maggiore dei carabinieri. Ho deposto, ma ci sono voluti due mesi soltanto per avere incontro. Poi sono passati altri mesi e allora io ho chiesto informazioni: il maggiore mi ha detto che ci vogliono 15 anni per ottenere una sentenza. E, in via confidenziale, mi ha aggiunto che era meglio se pagavo. Avrei fatto prima. Ho denunciato questo stato di illegalità in consiglio comunale e i consiglieri invece di scandalizzarsi stavano concertandosi per querelarmi. Volevo andare a raccontare il tutto alle trasmissioni locali, ma non mi hanno accettato perché sono anchesse finanziate dai politici locali. L'unica volta che sono uscito sul giornale è quando alla nuova richiesta di soldi siamo arrivati alle mani nella casa comunale. Morale della favola: non posso lavorare perché non raccomandato e non pagando posso fare solo il criminale cosa molto diffusa dalle mie parte. Ormai l'Italia è seduta su una polveriera. Porti alla luce questo problema.
Di Iulio 2000, naturalmente, mi sarebbe piaciuto conoscere il nome vero. E il paese a cui si riferisce. Non lavrei pubblicato, naturalmente, ma lui avrebbe dimostrato fino in fondo quel coraggio che dichiara di avere.
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