Tutte le coraggiose «signore Achab» a caccia del marito e della balena bianca

Quando pensiamo alla parola «baleniera» ci vengono in mente due cose: o una nave ipertecnologica, battente bandiera giapponese, che massacra in quantità industriale poveri cetacei, oppure un vetusto veliero con sul cassero il capitano Achab che insegue, più o meno ad armi pari, un furente e poderoso abitatore degli abissi. In nessuno dei due casi, ma soprattutto non nel secondo, ci passa per la testa l’immagine di una signora in velette e trine intenta a scrutare il mare in compagnia di ufficiali e ramponieri. Insomma nell’immaginario collettivo un ponte intriso di sangue di balena non è un posto per donne. Eppure per tutto l’Ottocento le baleniere hanno ospitato signore temerarie, o semplicemente sfortunate.
A scoprirlo e a raccontarlo è Annamaria «Lilla» Mariotti, scrittrice di cose di mare e autrice di Cacciatrici di Balene (Fratelli Frilli editori, pagg. 189, euro 14,80). Indagando gli archivi di New Bedford (Massachusetts), vera capitale della caccia al cetaceo che lo stesso Melville scelse per l’ambientazione iniziale di Moby Dick, ha ricostruito le vite di signore borghesi, quasi sempre mogli di capitani, le quali, violando tabù marinareschi e benpensantismo quacchero, trascorsero parte della loro vita a zonzo sugli oceani.
Il primo caso documentato è del 1822. Una certa Mary Hayden Russel viaggiò sino al Mar del Giappone sulla baleniera «Emily», comandata dal marito. Nei successivi 25 anni il fenomeno dilagò. I viaggi delle baleniere diventavano sempre più lunghi e le signore di New Bedford sempre meno propense a restare a casa. Così nella seconda metà dell’Ottocento le «lady» imbarcate divennero centinaia. E finirono per essere gradite persino agli armatori. La presenza di una signora, spesso molto più alfabetizzata e civilizzata del marito comandante, stemperava gli animi e preveniva le violenze a bordo. Inoltre le «capitane» si ingegnavano ad aiutare il cuoco, accudire gli animali e fare le veci del sempre inesistente medico.

Ma interessante non è soltanto la vicenda personale di queste avventuriere, molto poco femministe ma molto pragmatiche, e capaci di tener testa a marinai che non erano certo stinchi di santo. Se c’è una cosa profondamente femminile, è tenere un diario. Quindi, se vogliamo sapere molto sulla vita di tutti i giorni nei velieri del tempo che fu, non c’è fonte migliore.

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