In tutte le lingue, ma non in genovese

In tutte le lingue del mondo, ma non in zeneize. Sono delusi i sostenitori della Messa in genovese che il prossimo 6 gennaio, per il secondo anno consecutivo, non hanno avuto il permesso dall’arcivescovo Angelo Bagnasco per la celebrazione tradizionale all’Abbazia del Boschetto, in corso Perrone, a Cornigliano. «Cosa c’è di male?» si sono detti i sostenitori dell’iniziativa, capace di richiamare in chiesa quattrocento o cinquecento persone per una sola celebrazione. «L’anno scorso, senza la Messa in genovese, la chiesa sembrava vuota e io ho contato i fedeli - racconta Gianfranco Anastasi, tra i volontari più attivi dell’Abbazia -, eravamo soltanto settantuno. Pensare che l’anno prima eravamo quasi cinquecento e si faceva la coda per la confessione».
Tra i più convinti assertori delle Messa in genovese c’è il professor Franco Bampi, presidente de «A Compagna» e cultore della «lingua genovese». «Sì, il genovese è una lingua in tutto e per tutto e se si vieta una celebrazione in zeneize si deve allora dire che si fa differenza tra le lingue di Stato e quelle no - racconta il docente universitario che tiene corsi specifici di lingua alla biblioteca Berio -. Io, come cattolico, ritengo che all’arcivescovo si obbedisce, se la Messa in genovese è vietata non si fa, ma ne ritengo incomprensibile il motivo». Bampi tiene a sottolineare come l’attuale segretario di Stato vaticano, il cardinal Tarcisio Bertone, quando era a Genova in qualità di arcivescovo, si disse molto favorevole all’iniziativa, «dispiacendosi addirittura di non sapere il genovese lui stesso». Inoltre la celebrazione in genovese che prevede letture e omelia in zeneize e il resto delle liturgia in latino, è una Messa solenne cantata che dura oltre un’ora e che non ha nulla di folcloristico in senso deteriore. «Anzi, si tratta di una celebrazione molto solenne e seria, che richiama fedeli, ma certamente non curiosi visto che si tratta di una celebrazione impegnativa», conclude Bampi. L’impegno di celebrare la Messa in genovese era tradizionalmente affidato a don Sandro Carbone, rettore dell’Abbazia del Boschetto, che qualche volta la celebrava anche in altre chiese, sempre a grande richiesta dei fedeli e per particolari ricorrenze, come quelle per santa Caterina. «Una volta la celebrammo in Santa Zita, in corso Buenos Aires per la festa della santa - racconta Bampi -, chi la conosce sa che è una chiesa immensa. Ebbene: la gente non ci stava tutta da tanta fu la partecipazione dei fedeli».
Secondo i sostenitori della Messa in genovese, poi, la differenza con le celebrazioni di liturgie cattoliche in lingue straniere e a volte in dialetti anche di minoranze etniche come avviene proprio a Genova, e quella in zeneize non dovrebbe esistere. «Sappiamo che in Sicilia e in Sardegna le messe vengono celebrate nelle lingue locali - continua il signor Anastasi -, quindi non ci è facile capire perché a Genova ci sia stata una chiusura totale da parte della Curia verso la nostra iniziativa». Che, dicono i sostenitori, è anche di richiamo in un momento in cui spesso alla Messa vanno pochi fedeli e parte dei cattolici non sono più praticanti. «Basta assistere a una celebrazione di questo tipo - conclude il professor Bampi - per vedere quale sia la compostezza dei fedeli.

Ritengo che di questi tempi la Chiesa abbia perso un po’ il contatto con lo spirito della gente, che nei secoli passati, anche nelle nostra regione, ha mostrato di salire sulle barricate per difendere proprio la sua Chiesa, come si fece in Fontanabuona ai tempi dei francesi». E che adesso, pur obbedendo al suo arcivescovo, torna a chiedere un ritorno alla tradizione.

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