Ucciso dal «male del bacio», medici a giudizio

Ucciso dal «male del bacio», medici a giudizio

Alba (Cuneo)È stata una patologia dal nome romantico, «la malattia del bacio», a far morire a soli 26 anni Marco Montaldo, imprenditore agricolo di Neviglie, piccolo comune delle Langhe in provincia di Cuneo. Una banale mononucleosi, aggravata - secondo l’accusa - da una buona dose di imperizia e negligenza, non ha lasciato scampo a un giovane forte e in piena salute, le cui ultime parole dette alla sorella Daniela e alla mamma Silvana furono: «Portatemi via, qui mi lasciano morire». Parole dure e purtroppo profetiche visto che Marco se n’è andato il 15 novembre del 2009, otto giorni dopo essere stato ricoverato nell’ospedale San Lazzaro di Alba e poi trasferito nella sala rianimazione di una struttura vicina, per il sopraggiungere di quelle che i dottori hanno definito «complicazioni» ai polmoni.
Per quella morte così assurda la famiglia ha chiesto giustizia e ora, dopo due lunghi anni di attesa, arrivano le prime risposte da parte del gip del tribunale di Alba che ha accolto la richiesta della procura, rinviando a giudizio cinque medici, con l’accusa di «concorso e cooperazione in omicidio colposo per negligenza, imperizia e imprudenza, con fatti indipendenti perché ognuno ha responsabilità autonome e che hanno provocato la morte del giovane Marco Montaldo». Secondo l’accusa i sanitari avrebbero sottovalutato e quindi non curato in maniera adeguata la mononucleosi, un’infezione molto diffusa e spesso scambiata per una semplice influenza. Curata in maniera adeguata viene superata senza problemi. Ed è proprio per questo che la morte del giovane pare ancora più assurda. «Mio fratello - spiega Daniela - ha contratto una forma più aggressiva della malattia, come spesso accade nei pazienti più grandi ma era stata diagnosticata dal medico di base. Dopo il ricovero la situazione è peggiorata, ciò nonostante i dottori ci rassicuravano, dicendo che era tutto era sotto controllo. Sono stati giorni terribili, io e mia madre ci siamo sentite abbandonate da chi invece avrebbe dovuto prendersi cura di Marco. Ho un solo rimorso, quello di non aver dato ascolto a mio fratello che aveva capito di non essere assistito nei migliori dei modi». Dopo i primi giorni dal ricovero, Marco sembra migliorare ma poi la situazione precipita: la febbre non diminuisce, il ragazzo si sente sempre più debole e stanco e chiede solo di essere portato in un altro ospedale. Secondo la perizia disposta dal pubblico ministero Laura Deodato, i sanitari non hanno eseguito semplici ma importanti esami che avrebbero potuto salvare la vita al 26enne di Alba, come per esempio l’esame fibroscopico, la tac collo-torace e, sempre secondo la procura, c’è stata anche inerzia diagnostica e terapeutica. «Ho ancora negli occhi l’ultimo saluto di mio fratello prima di essere ricoverato in rianimazione - ricorda con un filo di voce Daniela -, è stata l’ultima volta che l’ho visto. Il giorno dopo abbiamo sporto denuncia e andremo fino in fondo per accertare eventuali responsabilità ed avere la giustizia che lui merita. Marco avrebbe fatto lo stesso per me. Speriamo anche di evitare che altri conoscano il doloroso calvario per la perdita di un fratello o di un figlio».
«Sono stati anni terribili questi senza Marco, un ragazzo pieno di vita, con tanti progetti per il futuro - spiega la mamma Silvana -, ora finalmente vediamo una speranza di giustizia».

I medici rinviati a giudizio sono difesi dall’avvocato Roberto Ponzio, che dice: «È una vicenda dolorosa ma siamo certi di poter dimostrare la correttezza dell’operato dei miei assistiti e l’insussistenza di condotte colpose riconducibili alla morte di Marco».

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