da Gemona
Intercettazioni, appostamenti e fotografie di ciclisti che entravano e uscivano dal laboratorio in Calle Zurbano. Oltre 200 sacche di sangue da 450 millilitri, tutte etichettate con codici per identificare il destinatario. Al Giro non si parla daltro, lombra del doping si insinua nelle pieghe del gruppo, e le attenzioni si spostano tutte in Spagna, dove si corre una corsa ben più difficile e temuta. Sangue fresco e congelato, pronto ad essere conservato e consegnato alla bisogna. Codici che potrebbero in queste ore essere già diventati nomi e i nomi cognomi. La radio spagnola Catena SER ha già pronunciato ripetutamente quello di Jan Ullrich, campione tedesco, vincitore di un Tour, di una Vuelta oltre di una olimpiade e una maglia iridata della cronometro. Ullrich arriva sul traguardo di Gemona del Friuli, con il volto di chi non ha niente da nascondere, e non accetta di vivere in prima persona un nuovo terremoto nel mondo del ciclismo. «Io in tutta questa vicenda non centro assolutamente niente. Fuentes non lo conosco, non ci ho mai lavorato e mai ci lavorerò».
Poche parole, chiare e inequivocabili. Ma il tam tam dalla Spagna corre per le ammiraglie del gruppo, e anche Rudy Pevenage, tecnico del fuoriclasse tedesco, allontana i fantasmi dal suo pupillo: «Guardate, i nostri rapporti con Luigi Cecchini sono quelli di un corridore ciclista che si fa seguire da un bravo allenatore. Anche se tutte le valutazioni medico scientifiche sono fatte dallUniversità di Friburgo. Per quanto riguarda invece Fuentes possiamo solo dire che non abbiamo mai avuto rapporti con questo signore. Non capisco come possano certi media mettere in giro certe voci, e associare il nome di Jan con questa vicenda spagnola».
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