Venezia, un palazzo da 2,5 milioni

Daniela Uva

Se un giorno qualcuno si divertisse a inventare il premio per il monumento nazionale allo spreco, la vittoria andrebbe senza dubbio al centro sociale Rivalta. Siamo sulle romantiche sponde della laguna veneziana. Qui accade che un ex biscottificio, da dieci anni occupato abusivamente dai no global, venga acquistato dall’amministrazione Cacciari per una «manciata» di milioni di euro, messo a norma e infine restituito agli ex «inquilini» per cinquemila euro lordi l'anno, praticamente il costo di un garage in periferia per un palazzo dal valore di 2,5 milioni di euro. La situazione abusiva è sanata, certo, ma i contribuenti ci rimettono una somma imprecisata. Rinunciando a uno spazio che, dato il valore e le dimensioni, potrebbe essere utilizzato per moltissime finalità sociali. Solo un esempio in un oceano di sprechi. Che da Nord a Sud tocca tutte le grandi città.
Gli enti territoriali, in Italia, possiedono immobili e terreni per un valore catastale di 151 miliardi di euro, che sul mercato diventano 349. Milioni di case, scuole, uffici, palazzi storici. Il 65 per cento dei quali appartiene ai Comuni. Un patrimonio immenso in un Paese stretto fra crisi economica, stipendi inadeguati al costo della vita, famiglie in difficoltà nel pagare il mutuo, liste d'attesa infinite per le case popolari. Come è possibile, verrebbe da chiedersi, parlare di dissesto con numeri del genere? La risposta è semplice quanto sorprendente: basta gestire malissimo quello che si ha. Prendiamo il caso di Torino, che possiede immobili pubblici per oltre due miliardi e mezzo di euro. Le Olimpiadi invernali del 2006 sono state salutate dalla giunta Chiamparino come una manna dal cielo. Fiumi di denaro per costruire impianti sportivi nuovi di zecca e valorizzare il resto della città. Peccato che due autentici gioielli architettonici «regalati» al Comune in occasione dei Giochi - il Pala Isozaki e la struttura Oval vicina al Lingotto - siano già stati dimenticati. Dal 2006 a oggi hanno ospitato solo una decina di manifestazioni, costando - in termini di gestione ordinaria - decine di milioni di euro ogni anno. Abbandonati e lasciati a loro stessi, i tesori comunali vanno in rovina, e in più costano caro. C’è persino chi se li dimentica, tanto da non riuscire più a quantificarne il valore di mercato. Succede a Milano, dove l’amministrazione possiede 1.600 immobili, quasi sei milioni di metri quadrati in totale. Di 377 edifici Palazzo Marino non ha neanche le piantine e non può quindi far realizzare le tabelle millesimali. Non si tratta di fabbricati qualunque, ma di palazzi di pregio. Come quello all’interno della Galleria Vittorio Emanuele, quasi completamente vuoto e abbandonato da 15 anni. In periferia, invece, ci sono case popolari, gestite in parte dal Comune e in parte dall’Aler. Ebbene, 4.136 alloggi risultano vuoti, nonostante liste d’attesa chilometriche. Il risultato? A parte la rabbia dei cittadini, spese di manutenzione stratosferiche, alle quali si aggiungono quelle sostenute per pagare i vigilantes anti-abusivi: 19,18 euro l'ora, 24 ore su 24, per ognuno di loro.
I Comuni gridano al dissesto, contraggono debiti immensi con i cittadini, eppure lasciano marcire preziosi metri quadri. E questo nonostante il governo abbia introdotto nella Finanziaria meccanismi per recuperare il patrimonio immobiliare pubblico: dismissioni, conferimento a fondi comuni di investimento, progetti di valorizzazione. Conti alla mano, basterebbe recuperare il 5 per cento di questi immobili per guadagnare 20 miliardi di euro. E invece si fa proprio il contrario. A Genova, per esempio, il Comune cede in affitto i suoi locali ad alcuni partiti a canoni risalenti a decine di anni fa, ma da parte sua ne prende in locazione altri a costi perfettamente in linea con l'attuale tasso di inflazione. Un esempio su tutti: l'Aster paga 79.200 euro l'anno per 454 metri quadri in via XX settembre, e 15mila euro al mese per 1.452, 92 metri quadri di uffici e 570 garage in via D'Annunzio. Nonostante l’amministrazione sia proprietaria di locali vuoti. Come il grosso edificio nella Valle Cerusa, a Voltri, ormai diventato la casa dei rom perché restaurarlo e utilizzarlo, evidentemente, è troppo dispendioso. La stessa amministrazione cede in affitto a titolo gratuito i locali di piazza Portello alla Film Commission che poi li usa come set per produzioni televisive e cinematografiche.
L’Italia è il Paese dove la casa popolare per molti è un miraggio. Ma a Bologna, dove quelle gestiste dall'Acer costano ogni anno circa 14 milioni di euro fra manutenzione ordinaria e straordinaria, c'è chi riesce a ottenerle pur guadagnando bene. Non è tutto. A Roma la giunta di centrosinistra ha deciso di razionalizzare i suoi uffici trasferendoli, entro il 2011, nella nuova sede unica denominata «Campidoglio Due», fra l'Ostiense e l'Eur. Costo totale dell'operazione: 250 milioni di euro. Peccato che, nel frattempo, abbia deciso di «parcheggiare» alcuni uffici in due edifici presi in affitto per 18 anni in via delle Vergini e in largo Loria. Rinunciando al diritto di disdire il contratto prima della scadenza. Il Comune manderà in fumo 170 milioni di euro. A Napoli, invece, lo scandalo si chiama palazzetto Mario Argento, abbattuto nel 2004 e mai ricostruito. Quando la squadra di basket locale sale in serie A, la giunta Iervolino decide di realizzare un prefabbricato davanti al rudere, nel bel mezzo di una strada trafficata, che poi resta vuoto quando lo stesso club viene escluso dalla competizione. Intanto, gli uffici del Comune, costretti dalla Sovrintendenza a lasciare il Maschio Angioino, vengono trasferiti in un palazzo acquistato in via Verdi e costato, nel complesso, 35 milioni di euro. Quando lo stesso Comune è proprietario di due stabili - inutilizzati - in piazza Dante e piazza Carlo Terzo.

La storia si ripete a Bari, che per far lavorare consiglieri e assessori prende in affitto appartamenti in mezza città. Con costi da capogiro. Uno spazio per riunire tutto in una sola sede ci sarebbe: l'ex Gasometro di via Mazzini. Peccato che i Verdi vogliano costruirci un parco nonostante il suolo sia irrimediabilmente inquinato.

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