Verde è bello ma demagogico o troppo caro

Caro Granzotto, mi sembra che lei sia piuttosto scettico sulle fonti alternative e pulite di energia. Perché? Crede che sia tutta una grande truffa o ci sono altri motivi? Mi interessa conoscere la sua opinione perché con i miei amici e conoscenti non facciamo che parlare se installare o meno i pannelli solari o fornire la seconda casa di impianto di riscaldamento geotermico.
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Lei mi fa dire cose che non ho detto, caro Ortali. Non di truffa, ma di presa per i fondelli, circonvenzione di anime semplici, si tratta quando si fa credere che installando pannelli solari e alzando pale eoliche si contribuisce a salvare il mondo dal riscaldamento globale originato dalle attività umane. O quando si dà ad intendere che l’energia pulita (e pulita, poi, non lo è mai) possa essere in assoluto alternativa a quella da combustibili fossili. Assunti non veritieri, assunti fanfaronici. Il primo smentito dalla rivelazione che il global warming era una balla planetaria (e infatti siamo a marzo e ancora nevica). A smentire il secondo sono i fatti: dall’eolico o dal solare non è possibile ricavare energia continuativa in grado di mandare avanti una acciaieria o una fabbrica d’automobili o un semplice biscottificio. E nemmeno a rendere autosufficiente un caseggiato. Tanto per fare un esempio, anche prescindendo dalla loro incostanza, col solo contributo dei raggi del sole e del vento gli ascensori non vanno né su né giù. Quanto al riscaldamento geotermico, un conto è attingere ai giacimenti naturali di vapore surriscaldato, come fanno in Islanda, ricca di geyser, un conto è affidarsi al calore del sottosuolo che per essere catturato e distribuito nelle abitazioni - a una temperatura media di 15-16 gradi, poi - abbisogna di una pompa mossa, e ci risiamo, da energia elettrica. Questo è il punto, caro Ortali: pensare che con l’eolico, il solare, il fotovoltaico, il geotermico e lo sfruttamento delle maree si possa fare a meno del petrolio non sta né in cielo né in terra, ma solo nelle zucche vuote degli ayatollah ambientalisti. Senza poi dire dei costi - oggi limitati da poderosi incentivi che, comunque, sempre escono dai nostri portafogli - e, nel caso dell’eolico e dell’energia mareomotrice, dell’impatto ambientale.
Diverso è il discorso per le fonti alternative di propellente (auto, aerei, navi che grosso modo coprono il 20 per cento dell’intero consumo di petrolio, altrimenti speso per produrre energia elettrica e termica). Un sostituto alla benzina c’è, ed è il biocarburante. Che però pone un problema mica da ridere: per produrlo si sottraggono milioni di ettari ai coltivi alimentari, ciò che non ne risolve un altro, di problema, quello della fame nel mondo. Sembrò che si fosse trovata la quadratura del cerchio nella jatropha curcas, arbusto resistente ai terreni infertili, perfino desertici: l’ideale per ricavare, dai suoi semi oleosi, la benzina verde senza sottrarre terreni all’agricoltura. Fu un vero boom e di jatropha, ne sono stati seminati in Africa, in India, nelle Filippine, in Cina, qualcosa come un milione di ettari. Per scoprire che l’arbusto attecchiva sì in suoli brulli e secchi, però nell’arido non produceva le bacche oleose. Per farlo fruttificare bisogna irrigarlo (lì dove l’acqua è più preziosa) ed essendo anche soggetto a malattie e all’attacco dei parassiti, irrorarlo di pesticidi, di erbicidi e di fertilizzanti, procedura assai costosa e non proprio consona ai canoni biologici e ambientalisti.

Eppure, nonostante queste non felicissime esperienze e il dilemma irrisolto se riempire la pancia o il serbatoio della benzina, nel mondo delle nuvole ambientaliste si progetta di intensificare la produzione di biocarburante fino a portarla, di qui a trent’anni, a 4 milioni di barili al giorno (i Paesi dell’Opec ne producono all’incirca 33 milioni). Ah, dimenticavo, caro Ortali: per raggiungere quell’obiettivo è stato calcolato che solo in investimenti serviranno 240 miliardi di euri. Perché verde è bello, però salato.
Paolo Granzotto

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