La vittoria di Tayyip politico a cavallo fra Europa e tradizione

da Istanbul

Recep Tayyip Erdogan è senza dubbio il politico turco più controverso degli ultimi 10 anni: uomo del cambiamento secondo alcuni, finto moderato secondo altri. Nato a Kasimpasa, un quartiere povero di Istanbul, nel 1954, ha frequentato scuole superiori religiose, che hanno influenzato la sua formazione, portandolo a rappresentare l’anima più religiosa della Turchia, a discapito dell’impronta laica data al paese dal “Padre della Patria” Ataturk.
Di certo, su Erdogan pesa una condanna per “incitamento all'odio religioso”, comminatagli nel 1998, quando aveva declamato, cambiando opportunamente il testo, alcuni versi del poeta Ziya Gökalp, definendo i minareti «baionette» e le moschee «barricate». Una posizione quantomeno discutibile per un politico che all’epoca era già sindaco di Istanbul, dopo l’elezione del 1994.
E non è la prima volta che la magistratura turca deve difendere la Costituzione laica del Paese dai partiti del primo ministro: altri due partiti in cui militava, Refah e Fazilet, sono stati chiusi dalla Corte costituzionale nel 1997 e nel 2001. È dopo questa chiusura che Erdogan ha deciso di fondare l'Adalet ve Kalkinma Partisi, che si definisce un partito di orientamento islamico-moderato.
Alla sua testa, con un programma basato su riforme economiche e negoziati con l’Europa, ha vinto le elezioni del 2002 e del 2007, dando il via a alcuni provvedimenti che hanno avvicinato Ankara all’Unione europea.

Controversa la sua politica interna: da un lato ha modificato l’articolo 301 del codice penale, che puniva l’offesa all’identità turca, dall’altro ha prodotto alcune leggi favorevoli all’islam, come quella che avrebbe permesso di portare il velo nelle università, bocciata però dalla Corte costituzionale. Durante il suo governo, la Turchia sembra essersi spaccata, fra assassini di esponenti laici e manifestazioni contro l’islamizzazione del Paese.

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