Cronache

Io speriamo che me la cavo (nella lotta contro il cancro)

Radiochemioterapie, due interventi chirurgici... Ma penso di aver trovato l’antidoto giusto: scrivere, scrivere, scrivere

Io speriamo che me la cavo (nella lotta contro il cancro)

Domando scusa per l’incipit autobiografico. Quando, alcuni mesi fa, mi fu diagnosticato un tumore, il primo pensiero fu: la monnezza. È colpa, è quasi certamente colpa della monnezza se ho il cancro. Donde viene questo male a me che non fumo, non bevo, non ho – come suol dirsi - vizi, consumo pasti da certosino? Mi ricordai, in quei drammatici momenti che seguirono la lettura del referto medico, di recenti dati pubblicati dall’Organizzazione mondiale della sanità, secondo cui era da mettersi in relazione l’aumento vertiginoso delle patologie di cancro con l’emergenza rifiuti.

Così sono stato servito: radiochemioterapie, due interventi chirurgici, altro, tant’altro. A chi devo dire grazie? Certamente alla camorra. I rifiuti si accumulano perché la camorra impedisce di raccoglierli, sabota gli impianti di raccolta, fa scioperare i netturbini, corrompe i funzionari dei controlli. Da noi la monnezza ha dimensioni ciclopiche. È stato calcolato che messi in fila, i sacchetti dell’immondizia arrivano da Napoli a Mosca, coprono 17 campi di calcio, riempiono 12 Empire State Building (...)

Il tumore contro il quale combatto rischiava di piegare la mia dignità, di rendere buie le mattine che si aprono davanti alla mia finestra, nella mia casa del Vomero. Buie come quelle che spesso quando ero piccolo, nel Vico Limoncello, nel cuore della città antica, vivevo come un incubo... Ma a quei tempi c’era un motivo “fisico”. Nel senso che la stradina era così stretta che la luce del sole non filtrava e in una famiglia con dieci componenti era anche complicato conquistarselo lo spazio. Ora rischio di non vederla più perché il male è duro da combattere.

Ma penso di aver trovato l’antidoto giusto: scrivere, scrivere, scrivere... Troppi libri in un anno? Forse. Ma la scrittura è la mia vita. Quella che l’anno scorso stava per lasciarmi. Basterà? Credo di sì. Perché per la malattia fisica possono, quando possono, qualcosa i medicinali.

Per il male dell’anima la scrittura può essere un ottimo farmaco.

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