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L'ottusità al potere che non vuole sentire ragioni

Il ragioniere delo Stato: se il reddito M5s parte a maggio si risparmiano 3 miliardi

L'ottusità al potere che non vuole sentire ragioni

Poco più di un mese fa, tra i tanti colloqui che hanno accompagnato la messa a punto della legge di Bilancio, il vicepremier, Giggino Di Maio, ne ha avuto uno con il Ragioniere dello Stato, Daniele Franco. Obiettivo: rendere la manovra più digeribile alla Ue. Consiglio dell'interlocutore istituzionale a Giggino: «Perché non mettete nella legge solo le risorse necessarie a finanziare il reddito di cittadinanza da maggio in poi, visto che difficilmente potrà essere applicato prima? Si passerebbe da 9 miliardi a 6, cioè tre miliardi in meno che inciderebbero sul rapporto deficit/Pil, su quel 2,4%». Risposta del vicepremier: «Se dico che spendiamo di meno, l'opinione pubblica non capirebbe». Passano alcune settimane e quello che non era possibile ieri, viene messo in pratica oggi: il maquillage alla manovra che il governo tenta di fare, con il beneplacito grillino, è proprio quello di ridurre i costi del reddito di cittadinanza sul bilancio del prossimo anno. Insomma, alla fine Di Maio potrebbe accettare il passo indietro, cioè di seguire il consiglio della Ragioneria dello Stato per accontentare la Ue. Solo che nel frattempo, proprio per il «No» di un mese fa e il vocabolario bellicoso usato nei confronti di Bruxelles, lo spread ha stazionato stabilmente sopra quota 300 punti, macinando interessi sul debito. Risultato: Bankitalia ha calcolato che lo stile di governo gialloverde è costato un miliardo e mezzo di interessi in più quest'anno, 5 nel prossimo e 9 nel 2020.

L'aneddoto è un po' l'immagine dell'insipienza dei 5 stelle. Il Paese, nei fatti, sta finanziando il periodo di apprendistato, di rodaggio dei grillini nella sala dei bottoni. Per azzardare un paragone è come se un grande gruppo industriale nominasse al proprio vertice qualcuno che è a digiuno di economia e fosse costretto a ripianare i buchi provocati dalla sua inesperienza nella speranza che prima o poi impari. Può apparire assurdo, ma è ciò che sta accadendo da noi. Il «caso» dell'operaio che ha lavorato in nero nell'azienda di Di Maio, colpisce non tanto per la vicenda in sé, quanto per il fatto che il vicepremier, nonché ministro del Lavoro, conoscendo le dinamiche del mercato del lavoro nel Sud si sia inventato provvedimenti come il decreto Dignità, che ha abolito nei fatti i contratti a termine, o il reddito di cittadinanza. Nei prossimi giorni le Iene, a quanto si apprende, tireranno fuori altri tre casi di operai in nero nell'azienda della famiglia Di Maio (di cui uno è addirittura scappato per i campi durante una visita dell'ispettorato del lavoro), ma ciò che colpisce è il tipo di spiegazione che il vicepremier darà del caso: «Ho ricostruito la vicenda ha spiegato ai suoi Giggino - l'operaio in questione si è rivolto al sindacato e mio padre lo ha indennizzato e poi assunto per sei mesi. Dopo i sei mesi l'operaio è tornato sulle barricate, minacciando di lanciarsi da un ponteggio per ottenere un altro periodo di assunzione. E pensare che tutto nasce da un cliente di mio padre che gli chiese la cortesia di far lavorare un po' questa persona. Poi è diventato un guaio. Per mesi».

Non sembra di ascoltare il ministro del Lavoro che ha fortissimamente voluto il decreto Dignità, ma le ragioni di un piccolo imprenditore che ha fatto fuoco e fiamme su quel provvedimento. Stesso discorso vale per l'altro cavallo di battaglia grillino, il reddito di cittadinanza, che ha fatto saltare i numeri della manovra. Anche al Quirinale c'è chi ha riportato i rischi che si porta dietro l'applicazione di questa norma nel Sud. Giuseppe Ruvolo, ex senatore centrista, amico di vecchia data del capo dello Stato, ha raccontato al presidente Mattarella: «Caro presidente tu sai che mia moglie è avvocato. Ebbene da qualche mese riceve coppie che le fanno questo discorso: Avvocato, non fraintenda, noi ci vogliamo bene come prima se non di più, ma ci vorremmo separare perché in questo modo potremmo avere diritto entrambi al reddito di cittadinanza. Una mano lava l'altra».

Sono gli inconvenienti che si portano dietro provvedimenti nati più sulla base di ideologie, vecchie e nuove, che non sulla prassi o sull'esperienza. Provvedimenti che lasciano basiti anche quei leghisti che si sono formati nel governo dei territori. «Di Maio non capisce osserva Stefano Candiani, sottosegretario di Salvini al ministero dell'Interno - che i provvedimenti economici in Italia danno risultati molto al di là nel tempo. Se avesse accettato subito di mettere nella legge di bilancio solo le risorse necessarie per finanziare i mesi effettivi in cui il reddito di cittadinanza sarà applicato il prossimo anno, si sarebbero risparmiati fin dall'inizio quei 3-4 miliardi che avrebbero reso meno severa Bruxelles». E ancora: «A parte ciò, il reddito di cittadinanza è sbagliato. Questo non è un Paese tutto uguale. Pensiamo al microcredito: ci sono zone in cui se concedi un milione ad un imprenditore, quello si inventa di tutto ma alla fine te lo ridà. In altre, invece, quel milione non lo rivedi più. Il reddito di cittadinanza è come regalare una bottiglia di vino all'alcolista per togliertelo davanti casa. Il giorno dopo lo ritrovi puntualmente là». Già, a ben vedere, i più distanti in Parlamento dal reddito di cittadinanza sono proprio i leghisti. Per loro questa misura dovrebbe essere cancellata d'emblée e le risorse destinate a rimpinguare il capitolo investimenti della legge di bilancio. Ma poi ci sono i grillini, cioè gli alleati, che ne hanno fatto una bandiera, Salvini che si è impuntato nella difesa di questo governo, sempre e comunque, e, infine, c'è la disciplina di un partito che somiglia tanto ad una caserma. Questo non toglie che mentre sull'intervento sulle pensioni, la famosa «quota cento», sono pronti a mettere la mano sul fuoco, convinti che alla fine sarà una misura di cui decideranno di beneficiare ben pochi italiani, sul reddito di cittadinanza, che sta condizionando l'intera politica economica del Paese, restano perplessi per non dire allibiti. In quel provvedimento non c'è nulla che possa somigliare, sia pure lontanamente, alla più banale delle filosofie di governo. Secondo un sondaggio di Unimpresa, fra le oltre 100mila imprese associate, i lavoratori con redditi fino a mille euro, potrebbero essere interessati a licenziarsi, per continuare a lavorare in nero e, nel contempo, beneficiare dei 780 euro del reddito di cittadinanza. Un espediente che potrebbe contare sulla complicità dell'imprenditore, che, in questo modo, risparmierebbe dal 30% al 60% nel costo del lavoro. Il primo a saperlo dovrebbe essere proprio il ministro del Lavoro che conosce la realtà meridionale, come dimostra il «caso» dell'impresa di famiglia, ma che, invece, a quanto pare, ignora un simile rischio.

Sono i limiti degli apprendisti al governo, quelli che da un giorno all'altro si ritrovano ministri. Quelli che prima ignorano i consigli della Ragioneria dello Stato, ma poi sono costretti a metterli in pratica. Quelli che non si accorgono degli inconvenienti del mercato del lavoro, fino a quando non li provano sulla loro pelle. «Questi sono ragazzi sbotta il leghista Dario Galli, che è il viceministro di Di Maio al ministero dello Sviluppo non sanno quello che fanno. Un giorno azzardano una sparata.

Il giorno dopo ci ripensano e non sanno neppure il perché».

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