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E Tronchetti in aula rivela: "Fu Letta a dirmi di riprendere Tavaroli"

L'ex presidente di Telecom interrogato nel processo all'ex capo della security ipotizza uno scontro tra servizi segreti dietro lo scandalo che ha colpito il gruppo

É un vero peccato che nell'aula dove si celebra l'udienza preliminare per il caso Telecom i giornalisti non vengano ammessi: perché quello che faticosamente, giornata dopo giornata, viene ricostruito davanti al giudice Mariolina Panasiti è un pezzo non irrilevante della storia recente di questo paese. É la storia dei dossier illegali raccolti da Telecom all'epoca in cui il suo presidente era Marco Tronchetti Provera, e il capo della sicurezza del gruppo era Giuliano Tavaroli, brigadiere dei carabinieri divenuto il massimo esperto italiano di security aziendale. Dietro la vicenda, l'intreccio di rapporti tra apparati dello Stato, servizi segreti e mondo delle telecomunicazioni sui quali il governo ha recentemente apposto il segreto di Stato.
Giuliano Tavaroli in questo processo è imputato di associazione a delinquere. Il suo ex capo, Tronchetti, è rimasto semplice testimone. Interrogato blandamente durante le indagini, è finito adesso sotto il torchio delle difese che hanno chiesto il suo interrogatorio. Ha dovuto affrontare passaggi spinosi, spiegando - non senza qualche difficoltà e qualche contraddizione - che delle attività occulte della struttura di Tavaroli lui non sapeva assolutamente nulla. E oggi a Tronchetti tocca il capitolo probabilmente più spinoso: quello sui rapporti tra la Telecom il mondo dei servizi segreti e degli altri apparati di sicurezza dello Stato.
La faccenda è complicata, perchè su tutti questi rapporti è stato posto il segreto di Stato, che non può essere violato se non a prezzo di gravi rischi. Quali siano i fatti nascosti dietro il segreto ovviamente non si sa: si ignora per esempio quali missioni sotto copertura abbiano svolto per conto del Sismi (l'attuale Aise) Giuliano Tavaroli e l'investigatore privato Emanuele Cipriani, fornitore di dossier a Telecom e anche lui oggi sotto accusa.
Ma oggi, sia in aula che parlando in corridoio con i cronisti, Tronchetti Provera - attualmente numero uno di Pirelli - racconta con dovizia di particolari un episodio che sembra fare parte integrante di questi rapporti sotterranei. Si tratta di spiegare il motivo per cui Tavaroli, costretto a dimettersi da Telecom dopo il primo avviso di garanzia e inviato da Tronchetti «per motivi umanitari, sa, ha cinque figli» a lavorare in Romania per Pirelli, nell'estate del 2005 rientrò in Telecom come consulente per la sicurezza.
Tronchetti spiega che il fattore scatenante furono gli attentati di Londra in luglio, che rilanciarono l'emergenza terrorismo e fecero a capire a Telecom di trovarsi sprovvista di una figura «forte» sul fronte della prevenzione e dell'analisi. Così si pensò di richiamare Tavaroli. E per avere il «via libera» all'operazione Tronchetti Provera si rivolse (non si capisce bene perchè) al governo nella persona di Gianni Letta, sottosegretario con delega all'intelligence. Letta, secondo quanto racconta Tronchetti, non si limitò a dare il benestare, ma avanzò una sua ipotesi ben precisa sull'inchiesta che aveva coinvolto il manager: «Letta mi disse che era possibile che Tavaroli non avesse colpe e che le accuse contro di lui fossero una conseguenza del momento di tensione che si viveva a causa dello scontro tra i nostri servizi segreti».
Affermazione clamorosa, perché getta una luce nuova e inquietante sulla più importante inchiesta condotta in questi anni in Italia sul «lato grigio» dell'imprenditoria. Nessuno, in aula, ha chiesto di sentire Letta per sapere se le cose andarono davvero così.

Ma la verità su quanto accadde davvero in quei mesi convulsi diventa, a questo punto, ancora più difficile da afferrare.

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