Politica

L'iperdemocrazia a cinque stelle? È solo un sogno ad occhi aperti

Grillo propone una piattaforma per la democrazia diretta attraverso il web in grado di eliminare i partiti. Ma anche gli esperti dei nuovi media sono dubbiosi: i limiti sono ancora troppi

Il comico Beppe Grillo
Il comico Beppe Grillo

Il buon risultato alle ultime amministrative; la ribalta di Casaleggio, autodefinitosi cofondatore; i primi mesi da sindaco di Parma di Federico Pizzarotti; il caso Favia, che ha denunciato una sorta di “dittatura”; l'avvicinarsi delle elezioni politiche e l'ascesa nei sondaggi. In sordina per anni, negli ultimi mesi il MoVimento 5 Stelle ha fatto parlare sempre più di sé. E ha fatto venire fuori un problema insito nel “non statuto”: quello della democrazia interna.

Da tempo i grillini chiedono un portale in cui confrontarsi a livello nazionale, stilare un programma per il 2013 e, soprattutto, scegliere i propri candidati. Per un movimento nato dalla rete, le “primarie online” sono il minimo. Così qualche giorno fa Grillo ha provato a spegnere le polemiche assicurando che presto la piattaforma sarà lanciata. Del resto, sul mercato ci sono già dei software che permettono di votare online, come quello, chiamato LiquidFeedback sperimentato ad esempio dal Partito pirata tedesco e che ora viene testato anche a Milano proprio dai grillini.

Il comico genovese vuol quindi far nascere quella che si potrebbe chiamare “Politica 2.0”: come nell'archetipo della democrazia, tutti i cittadini votano le decisioni senza rappresentanti, ma lo fanno online. E se non servono rappresentanti a cosa servono i partiti? “Quando c'è un partito si instaura la corruzione. Noi vogliamo una cosa nuova. Una iper-democrazia senza i partiti con al centro i cittadini. Metteremo in rete tutto. Anche le discussioni del movimento. È difficilissimo lo so ma noi ci vogliamo riuscire", ha detto Grillo, promettendo una “democrazia dal basso, piena di referendum”.

Al di là di quello che sarà lo strumento scelto, molti sono gli interrogativi che il voto elettronico e la democrazia partecipativa tramite internet in generale sollevano. A partire dall'autenticazione: bisogna garantire che ogni account corrisponda a una persona precisa e che non possa essere usato da altri. “Le tecnologie per farlo già ci sono”, sostiene il tecnologo Marco Zamperini. Più scettica, invece, Frieda Brioschi, presidente di Wikimedia Italia (l'associazione che gestisce la versione italiana di Wikipedia), preoccupata anche dalla difficoltà per persone meno avvezze agli strumenti digitali di partecipare realmente al processo decisionale. “Senza contare che rischia di prevalere chi ha più tempo da passare davanti al computer su chi è davvero interessato da un particolare tema”. Modi per l'autenticazione sicura ce ne sono, basti pensare alla firma digitale o alla posta certificata ampiamente accettata anche dagli enti pubblici. Ma complicare l'accesso al portale, vuol dire tagliare fuori i cosiddetti analfabeti digitali.

Altro tema critico sono i contenuti: chi propone cosa fare o chi votare? Nel portale di Grillo dovrebbero essere i vertici del partito o i singoli gruppi locali. Ma nel caso di una piattaforma di democrazia a cui idealmente partecipano tutti gli italiani? Un primo input potrebbe venire dalle pubbliche amministrazioni, “ma c'è bisogno della loro volontà, di una capacità di ascolto differente”, sottolina Zamperini. “Il rischio è quello della semplificazione, che potrebbe portare a prendere decisioni con un sì o un no o con domande che già danno una risposta”, aggiunge Mafe De Baggis, esperta di media digitali che si dice favorevole a portare il processo decisionale online. “Ma con alcuni distinguo: uno strumento simile ha senso se diventa un modo di leggere i reali desideri della popolazione e sollecitare i pareri dei cittadini. Chiedere solamente Preferisci Tizio o Caio in questo momento è rischioso”.

Insomma, al di là dell'esperimento di Grillo, dedicato a una nicchia di persone già “informatizzate” e accomunate da interessi in comune, la democrazia partecipata e diffusa a livello nazionale lascia ancora dubbiosi su strumenti e capacità di coinvolgere tutta la popolazione. Del resto già qualche anni fa l'associazione Frontiere Digitali aveva tentato la strada dell'Open ddl: una legge sul diritto d'autore pensata e messa a punto dai cittadini.

Esperimento finito praticamente nel dimenticatoio.

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