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Il Brasile in ginocchio per una diga. In centinaia scomparsi nel fango

Il bilancio: 34 morti e 300 dispersi. Ma il crollo era annunciato

Il Brasile in ginocchio per una diga. In centinaia scomparsi nel fango

San Paolo Trentaquattro morti accertati e almeno 300 dispersi che si teme di non trovare in vita man mano che passano le ore. Il Brasile affronta quello che è il peggior disastro ambientale degli ultimi anni. Una diga è crollata a Brumadinho, un piccolo comune nello stato del Minas Gerais, distruggendo col suo carico di detriti altre due dighe che sono tracimate inondando di fango l'area intorno.

Proprietaria della struttura la multinazionale mineraria brasiliana Vale, la seconda più importante al mondo nel settore, dopo la cinese Chalco. E la tragedia assume contorni inquietanti se si pensa che nel 2015 un'altra diga, sempre della Vale, era crollata a Mariana, nello stato di Espirito Santo, causando 19 morti e un disastro ambientale come il Brasile non aveva mai conosciuto prima d'allora. Ieri il presidente Bolsonaro - che pochi giorni fa al Davos aveva dichiarato che «il Brasile è il paese che meglio preserva l'ambiente» - ha sorvolato l'area colpita promettendo che «i fatti saranno appurati e nuove tragedie evitate» mentre il governo federale metteva in piedi un'unità di crisi.

Mancano elettricità, internet e collegamenti telefonici, il che rende difficili le operazioni di recupero dei sopravvissuti visto che l'area colpita è raggiungibile solo via elicottero. In tanti segnalano la loro presenza in mezzo al fango per cercare di essere salvati. Tra le storie terribili, quella di un autobus rimasto intrappolato nei detriti di ferro e pieno di cadaveri, avvistato dall'alto dai soccorritori che non riescono però ad avvicinarsi per l'impervia posizione in cui si trova.

E continuano le processioni dei parenti negli ospedali della zona e della capitale statale Belo Horizonte in cerca di notizie. Il paradosso della situazione è che la maggior parte della vittime è composta da lavoratori della stessa Vale, che venerdì, al momento della tragedia, si trovavano tutti a mensa. «Voglio che ci sia qualcuno della Vale a dirmi dove è mia sorella» gridava disperato uno dei familiari che ha accusato la compagnia di essersi defilata anche dalla gestione dei soccorsi. E nonostante le parole di costernazione di Fabio Schvartsman, presidente della Vale dal 2017, il Brasile intero punta adesso il dito contro questa multinazionale che non sembra aver imparato molto dai suoi errori del passato. Basti pensare che per il disastro di Mariana non solo nessuno è finito in galera ma nessuno ha ancora risarcito le vittime per il disastro combinato. La procura del Minas Gerais, secondo la quale la diga era già sotto inchiesta, ha chiesto il sequestro dei beni della compagnia per oltre un miliardo di euro.

Benché in conferenza stampa il presidente della Vale abbia messo le mani avanti dicendo che si ignorano le cause dell'incidente e che la diga pur non funzionante da qualche anno era monitorata costantemente, i fatti sembrano raccontare un'altra storia. Il rischio di cedimento era stato infatti denunciato da mesi da gruppi di cittadini della zona. Rischio che lo scorso dicembre fu confermato anche in una concitata riunione alla fine della quale però in fretta e furia dalle autorità ambientali del Minas Gerais fu concessa l'autorizzazione ai lavori per ampliare la diga. Durissimo il commento di Greenpeace, che ha annunciato di voler inviare una sua squadra sul luogo della tragedia «Non hanno imparato la lezione - dichiarano dal loro quartier generale brasiliano - e insistere sul volere indebolire i criteri per le autorizzazioni ambientali significa creare una fabbrica di Mariana».

Basti pensare che un progetto di legge per norme più severe sul tema è fermo dal 2016 nel parlamento dello Stato del Minas Gerais.

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