Politica

E i grillini scoprono il potere delle cene

La politica a tavola: dal «patto della crostata» ai commensali di Casaleggio

E i grillini scoprono il potere delle cene

Il magna magna. E poi i forchettoni e le torte da spartire. Tanta fatica lessicale per arrivare, nella Terza Repubblica, quella dei cittadini, alle «due fette di salame e un bicchiere di vino» consumati da Giorgetti, Parnasi e Lanzalone durante un aperitivo romano. Nessuna cena, si è sbrigato a minimizzare il vice di Salvini, precisando che il costruttore al centro dell'inchiesta era «solo il mio vicino di casa a Roma». Perché le tavole imbandite, in politica, negli ultimi tempi portano male. La cena è sempre «segreta», sinonimo di accordi sotto banco, al riparo da occhi indiscreti. Ancor più del pranzo, dove almeno c'è l'attenuante della luce del sole. I comunisti degli anni 50', con una felice invenzione di Giancarlo Pajetta, coniarono il termine «forchettone» per riferirsi alla maggioranza democristiana. E, in genere, al potere. Un luogo metafisico, dove però si mangia per davvero. Così il cibo irrompe anche nel primo scandalo politico-affaristico ai tempi del «governo del cambiamento». Davide Casaleggio preferisce smentirle, le cene. Il padrone di Rousseau, intercettato tra le strade della Capitale, ha detto: «Cena con Lanzalone? Era in un altro tavolo e l'ho salutato». Pare, invece, che il desco fosse stato apparecchiato dall'associazione fondata dal figlio in onore del papà Gianroberto. Insomma, il discusso avvocato ligure aveva sì altri commensali, ma era stato invitato da Casaleggio Jr, per una «cena di finanziamento».

Sulla stessa buccia di banana era scivolato Matteo Renzi. A novembre del 2016, fece discutere il ristretto attovagliamento dell'ex premier, a Milano con vista sul Castello Sforzesco, insieme a una quarantina di imprenditori. Fino a 30mila euro per accomodarsi al tavolino del potere renziano, con l'obiettivo di sostenere, economicamente si capisce, la campagna elettorale per il Sì al referendum costituzionale. E tutti conosciamo l'esito della battaglia. Il rottamatore stava per finire nei guai anche dopo la rivelazione di Lino Amantini, il suo ristoratore prediletto a Firenze, di alcune cene tra amici rimborsate con soldi pubblici, ai tempi in cui il senatore di Rignano era presidente della Provincia e sindaco poi. Ignazio Marino, già primo cittadino di Roma, ha attraversato le forche caudine della cena. Si parlava di spaghetti all'aragosta nei pressi di Via Veneto, pagati con la carta del Campidoglio. Franco Fiorito, il pantagruelico «Batman» della rimborsopoli in Regione Lazio, aveva fatto indignare l'opinione pubblica a causa delle ostriche e lo champagne francese ingurgitati grazie ai fondi regionali. Per non parlare delle straraccontate «cene eleganti» con protagonista Berlusconi ad Arcore. Il Cavaliere ha dipanato molte crisi interne alle maggioranze di centrodestra attorno alla tavola di Villa San Martino ad Arcore o della dimora romana di Palazzo Grazioli, dando visibilità ad un altro aspetto della convivialità tra potenti, quello della cena chiarificatrice. Come il recente «patto dell'arancino» firmato a Catania con Salvini e Meloni. Tra gli accordi politici chiusi mangiando, spicca il celebre «patto della crostata», siglato a casa di Gianni Letta per dare avvio alla fu commissione bicamerale. Il menù di quella sera resta avvolto nel mistero, ma niente fette di salame.

Eravamo ancora nella Seconda Repubblica.

Commenti