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E Madia vuole assumere trecentomila precari

Nel carrozzone della Pa già 3,3 milioni di dipendenti. Ma gli «atipici» resteranno

E Madia vuole assumere trecentomila precari

Roma - Se quello in carica non fosse un governo di transizione verrebbe da pensare a una trovata elettorale in stile Renzi. Il ministro della Pubblica amministrazione Marianna Madia sta pensando a un provvedimento ad hoc per assumere tutti i precari del pubblico impiego. Annuncio dato un po' in sordina, ma se alle parole seguiranno i fatti sarà una cosa epocale.

Ci sono circa 300mila persone che oggi hanno una rapporto di lavoro atipico con enti pubblici, assorbirli tutti nella Pa significa aumentare del 10% gli organici dello Stato.

Il metodo assomiglia a quello utilizzato per gli insegnanti. Intanto assumere chi ha vinto un concorso. Sarebbe scontato, ma non lo è in Italia. Poi prevedere corsie preferenziali per chi oggi collabora con lo stato in tutte le sue articolazioni. Obiettivo dichiarato di Madia: «mettere fine al cattivo reclutamento» nella pubblica amministrazione.

E non c'è dubbio sul fatto che lo Stato sia un cattivo datore di lavoro. Inflessibile quando si stratta di difendere interessi consolidati e latitante nel riconoscere meriti e diritti.

Piccolo problema: non sarà così facile combattere il lavoro precario nella Pa e azzerare i precariato di Stato. Troppo radicato. Talmente importante ricorrere a rapporti di lavoro atipici nella Pa - per clientelismo o per tappare effettive carenze di competenze, nonostante i 3,3 milioni di dipendenti pubblici - che ogni tentativo di frenare il lavoro flessibile pubblico è stato aggirato con trucchetti che a un privato costerebbero ispezioni e sanzioni. Un'idea di questo fenomeno la danno i dati della Ragioneria generale dello Stato. Le collaborazioni coordinate e continuative, che Madia vuole definitivamente sradicare, sono in calo da tempo. Tra il 2007 e il 2015 meno 54%, da 82mila a 38mila. Calo impressionante. Da quest'anno andranno a zero perché una legge varata nel 2015 li vieta, anche se ci sono dubbi sull'efficacia della norma. Il fatto è che nella amministrazione pubblica, come è successo con alcuni datori di lavoro privati, al calo delle collaborazioni coordinate e continuative è corrisposto un aumento di altre forme di lavoro atipico.

Nello stesso periodo, ad esempio, gli incarichi libero professionale, studio o consulenza conferiti dalla pubblica amministrazione sono aumentati del 111%. Un po' come è successo nel privato, dove i collaboratori sono stati invitati ad aprire partite Iva. In crescita anche le prestazioni professionali e gli adempimenti obbligatori per legge. Non si tratta sempre di eredità del passato.

Ci sono forme contrattuali atipiche, come i contratti a somministrazione, che sono nel complesso calati (-14% tra il 2007 e il 3015), ma sono tornati a crescere nel 2014 e nel 2014. Stesso destino per i contratti a tempo determinato, che sono in calo continuo dal 2007, ma che nel 2015 sono cresciuti del 3,1%.

Dopo anni di leggi per frenare il ricorso al lavoro flessibile nella Pa, il rapporto con i contratti a tempo indeterminato non è cambiato molto. I lavoratori «tipici» sono poco più di tre milioni, quelli atipici (tra tempo determinato, interinali e lavoratori socialmente utili) sono 289mila.

Segno che la Pa si stava già preparando alla stretta sui collaboratori.

E che, una volta assunti i precari oggi in carico allo Stato, tra qualche anno ci ritroveremo di nuovo con gli uffici pubblici pieni di lavoratori non inquadrati nel contratto tipico - quello subordinato a tempo indeterminato - che il governo di turno dovrà regolarizzare.

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