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"Io disabile senza difese non posso nemmeno salire sui mezzi pubblici"

"Io disabile senza difese  non posso nemmeno salire sui mezzi pubblici"

Mentre scrivo sono ancora titubante sull'opportunità o meno di raccontare la mia storia. Non amo essere al centro dell'attenzione per le disavventure che mi sono capitate nel corso della mia vita né sono in cerca di pietà o di commiserazione. Tra cateterismi cardiaci e vari interventi chirurgici sono finito in sala operatoria una ventina di volte. L'operazione più importante, quella che mi ha permesso di continuare a vivere e di realizzare il sogno di diventare giornalista è indubbiamente il trapianto di cuore, datato 25 maggio 2000. Da allora sono passati 18 anni, nei quali ho conseguito due lauree e, grazie ai medici del cardiotrapianti del Bambin Gesù che hanno eseguito l'operazione, ho superato brillantemente anche due crisi di rigetto.

Nel 2009, però, proprio pochi mesi dopo aver firmato il mio primo contratto di lavoro con un'agenzia stampa, sono incappato nel virus dell'influenza A, conosciuta anche come la «suina». «Sei vivo, quindi i vaccini non servono», direbbero sicuramente i No Vax, eppure se il vaccino fosse arrivato in tempo, mi sarei risparmiato una ventina di giorni di ricovero con la febbre a 40 e una ragazza che era ricoverata in una stanza vicina, forse, sarebbe ancora viva. Io me la sono cavata con sette flaconi di antibiotici al giorno che mi venivano somministrati per endovena, ma, da quel momento, ho il terrore degli aghi e le vene del mio braccio sinistro sono quasi tutte fuori uso. «Eh ma c'è il braccio destro che si può sfruttare», potrebbe ribattere qualcuno. E, invece, si sbaglierebbe di grosso. Il mio stato di salute è seriamente condizionato da un'emiparesi destra che mi ha colpito all'età di due anni e 10 mesi. In breve, sono un disabile trapiantato di cuore che cerca in tutti i modi di affrontare la vita con grinta e con il sorriso anche se non sempre è possibile.

Vivo a Roma e, non potendo guidare, sono costretto a prendere i mezzi pubblici dove spesso evito di salire a causa del sovraffollamento. È impossibile trovare posto, l'aria condizionata il più delle volte è guasta e, in estate, non si respira altro che il sudore dei passeggeri. Insomma, anche per un trapiantato da 18 anni come me è rischioso soltanto salire in un bus per la facilità di contrarre virus.

Mentre scrivo penso a tutto il mio percorso di vita, alle notti trascorse nelle stanze di terapia intensiva all'ospedale Gaslini di Genova. Lì, quando avevo 15 anni, mi è stato impiantato un peacemaker perché il mio cuore era bradicardico ma, due anni dopo, non c'era più nient'altro da fare. In cuor mio, fin da piccolo, avevo la convinzione che prima o poi sarei arrivato al trapianto e, così, nel 2000, ho abbracciato il centro trapianti del Bambin Gesù e Roma, città dove vivo da 15 anni. È da qui che, grazie al trapianto sono riuscito a realizzare il mio grande sogno: scrivere sul Giornale fondato da Indro Montanelli, giornalista di cui ho raccontato la vita nella mia prima tesi universitaria.

E, mentre scrivo, mi viene la pelle d'oca pensando ai tanti amici che ho perso in questi anni o che, avendo dovuto subire un secondo trapianto, non ce l'hanno fatta. Anche loro erano pieni di sogni che il destino ha spezzato sul più bello. «Cosa c'entra tutto questo con i vaccini?», potrebbero obiettare i No Vax che leggono questa mia lettera. Apparentemente niente ma se per me è rischioso anche soltanto salire su un bus, non oso immaginare quanto possa essere messa a rischio la vita di un bambino appena trapiantato in una classe di bimbi non vaccinati.

Ministro Grillo, crede davvero che la soluzione sia creare delle «classi-ghetto» per immunodepressi? Scrivo questa lettera da paziente a medico quale lei è per porre un quesito molto banale: se il suo governo si è posto il fine di aiutare i più deboli, è giusto sminuire così l'importanza di vaccinarsi da piccoli, porgendo, magari involontariamente, il fianco a coloro che credono che i vaccini causino l'autismo?

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