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Manovra bis, slitta a marzo il reddito di cittadinanza

Il rapporto deficit/Pil va portato dal 2,4% al 2,2. Taglio di tre miliardi al sussidio e alla riforma delle pensioni

Manovra bis, slitta a marzo il reddito di cittadinanza

Roma - Una limatura al deficit da tre miliardi. Poi una sforbiciata a tutti i capitoli di spesa in modo da spostare risorse sugli investimenti. Il dossier sulle modifiche alla manovra è allo studio del governo già da un paio di settimane. Da quando il vicepremier Salvini ha recepito i dubbi delle imprese e dei suoi consiglieri economici. Ieri anche il premier Giuseppe Conte ne ha parlato apertamente. «Passare dal 2,4 al 2,2%» nel rapporto tra deficit e Pil «significa parlare di 3 miliardi di euro». Quindi una somma sostenibile, che deve comunque essere confermata, «quando avrò le informazioni tecniche e l'impatto preciso al centesimo».

L'intenzione è comunque chiara. Limare il deficit per ottenere una via libera dall'Europa. Poi, come emerso già nei giorni scorsi, stornare circa 5 miliardi da Reddito di cittadinanza e Quota 100. Altro gesto di buona volontà, visto che l'Europa ha un giudizio negativo su entrambe le misure.

Una delle ipotesi circolate è un rinvio dell'entrata in vigore di entrambe le misure a marzo. Il risparmio sul 2019 sarebbe di tre miliardi. Altri due dovrebbero arrivare da limature alle altre misure di spesa.

Il governo vuole giocare anche un'altra carta, quella del ricalcolo del costo delle due misure di bandiera dei partiti di maggioranza, dimostrare che servono coperture inferiori, senza intaccare la portata. «Il tema non sono i numerini ma i cittadini», ha ribadito ieri il vicepremier Luigi Di Maio. Se «deve diminuire un po' di deficit, per noi non è l'importante. Per noi l'importante è che non si abbassi di una sola persona la platea che riceverà quelle misure».

Ma allo studio ci sono anche modifiche di sostanza, non motivate dall'esigenza di ridurre il deficit. Sul reddito di cittadinanza c'è un confronto serrato nel governo. E lo stesso ministro del Lavoro Di Maio sta valutando diverse versioni del sussidio, per evitare che la legge alla fine si riveli controproducente. Un po' come sta succedendo con il decreto Dignità, che il governo sta per modificare alla radice.

Il sottosegretario Armando Siri ha lanciato la sua proposta, che consisteva nel trasformare il sussidio caro ai pentastellati in un finanziamento alle aziende che fanno formazione per disoccupati. La versione di Di Maio è leggermente diversa. I centri per l'impiego non perdono il loro ruolo, ma c'è la possibilità che «per qualche mese» l'assegno passi dal disoccupato all'impresa che lo assume, come ha spiegato ieri il vicepremier a Radio Radicale.

Per quanto riguarda le pensioni, più che modifiche di sostanza, si lavora sulla platea di lavoratori interessati da quota 100. Il governo ha già messo a punto una stretta sul pubblico impiego, anche per non incentivare un esodo che metterebbe in difficoltà settori chiave come la sanità e la scuola. Anche per i privati sono allo studio dei meccanismi che, di fatto, comporterebbero dei risparmi posticipando la data del pensionamento effettivo. Poi il divieto di cumulo tra redditi di pensione e dal lavoro, che sarà più stringente con il crescere dell'anticipo della pensione. Un disincentivo, insomma.

Poi ci sono tutte le altre misure di spesa. Molte delle modifiche alla legge di Bilancio che erano state promesse potrebbero saltare. Il tempo pieno obbligatorio esteso a tutte le scuole, ad esempio. Una promessa contenuta in un emendamento approvato in commissione che prevede l'assunzione di 2.000 docenti, quando ne servirebbero oltre 43 mila per coprire i nuovi orari, per un costo di tre miliardi di euro all'anno. Infine il capitolo investimenti.

Unica certezza, le risorse saranno gestite dalla Centrale per la progettazione delle opere pubbliche costituita a Palazzo Chigi.

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