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"Navi italiane in acque libiche". Ma così rischiamo l'isolamento

Serraj ci lancia un salvagente: "Contrastiamo i trafficanti". Per l'intervento serve però l'egida della missione Sophia

"Navi italiane in acque libiche". Ma così rischiamo l'isolamento

A raccontarla sembra quasi una fiaba. Il figliol prodigo Fayez Serraj dopo la scappatella francese con l'irresistibile Emmanuel Macron ed il rivale generale Khalifa Haftar si presenta a Roma e, pur di farsi perdonare, propone al premier Paolo Gentiloni quel che fin qui s'è sempre rifiutato di chiedere ovvero l'invio di navi militari dentro le acque territoriali libiche per dar la caccia ai trafficanti di uomini. Un abboccamento che per il povero Gentiloni è un vero salvagente. Tradito da Macron e abbandonato da una Corte Europea del Lussemburgo irriducibile nel rigettare quei ricorsi della Croazia su cui contavamo per aggirare il trattato di Dublino lo sconsolato premier non sapeva più a che santo votarsi. Invece, inaspettatamente, ecco Serraj proporgli «un sostegno tecnico con unità navali italiane nel comune contrasto al traffico di esseri umani da svolgersi in acque libiche». Una proposta che se non fosse vera bisognerebbe inventarsela, ma a cui il risollevato Gentiloni non può che offrire entusiasta sostegno. «La richiesta spiega il premier - è attualmente all'esame del nostro ministero della Difesa. Le scelte saranno esaminate dalle autorità libiche e con il Parlamento italiano. Ma se valuteremo la possibilità di rispondere positivamente, come credo necessario, può rappresentare un punto di novità molto rilevante per il contrasto al traffico di esseri umani».

E a rasserenare il premier contribuisce anche una chiacchierata telefonica con un Angela Merkel pronta a promettergli sostegno per la redistribuzione dei richiedenti asilo tra i Paesi Ue e a garantire fondi tedeschi per le attività di contrasto al traffici di uomini in Libia. Infine, come se non bastasse, Gentiloni riesce, persino, a garantirsi l'appoggio di parte delle opposizioni. Per il presidente dei senatori di Forza Italia Paolo Romani e per il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri «la richiesta dal governo libico di intervenire nelle acque territoriali con unità navali italiane» è infatti «una proposta attesa da tempo». Prima di cantar vittoria sarà opportuno, però, scoprire cosa si nasconda dietro l'improvviso dietrofont di Serraj. La prima stranezza è perché il premier libico ci chieda di utilizzare navi italiane, mettendo in piedi una missione ex novo, quando non solo esiste, ma è pienamente operativa Eunavfor Med, la missione navale europea, conosciuta come Operazione Sophia. Varata nel 2015 e pronta a operare, dopo la recente riconferma europea, fino al dicembre 2018 la missione è stata progettata proprio per contrastare l'attività dei trafficanti di uomini colpendoli non solo dentro le acque territoriali di Tripoli, ma addirittura sulle coste libiche. Non a caso sulle sue unità sono imbarcati distaccamenti di unità specializzate come il Battaglione San Marco o i marines inglesi. A tutt'oggi l'operazione non è potuta passare alla fase d'intervento sul territorio libico proprio perché mancava una delle due condizioni politiche indispensabili per avviarla ovvero un via libera garantito da una Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu o, in alternativa, una richiesta del governo di Tripoli. Una richiesta che Serraj non ha mai voluto firmare nel giustificato timore di venir defenestrato da una delle tante milizie che da una parte lo sostengono e dall'altra s'arricchiscono con il traffico di uomini. Anche stavolta c'è dunque da chiedersi se Serraj trasformerà in richiesta scritta quel che fin qui ha solo sussurrato nelle orecchie di Gentiloni. Se lo farà Eunavfor Med potrà finalmente entrare nel vivo. Affidata al comandante italiano Ammiraglio Enrico Credendino l'operazione ha 6 unita navali e sei velivoli già operativi, ma soprattutto ha ben chiari, grazie al lavoro d'intelligence già svolto, gli obbiettivi da colpire. In più ha il vantaggio, grazie alla bandiera europea, di non poter esser accusata di mire coloniali come succederebbe se nelle acque territoriali si presentassero le unità navali con il tricolore.

Unità che in caso di necessità potrebbero tranquillamente venir aggregate ad un'operazione già guidata come ammiraglia dalla nostra nave San Giusto.

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