Politica

La nuova guerra parla arabo Fuoco «amico» su Yemen e Irak

I bombardamenti aerei contro estremisti islamici opera di una coalizione guidata dai sauditi

Non i caccia americani o francesi, non l'aviazione di Paesi occidentali impegnati in missioni su fronti stranieri, ma i jet dei nazioni arabe, degli emirati e dei sultanati del Golfo, delle monarchie della regione decollano in queste settimane, dalla Libia allo Yemen passando per l'Irak, per bombardare postazioni di estremisti islamici o ribelli nella regione.

È stato ieri il secondo giorno di raid aerei sauditi sullo Yemen. Nelle ultime ore, infatti, Riad sotto invito delle autorità di Sana'a, è intervenuto militarmente nel Paese per arginare l'avanzata dei ribelli sciiti Houthi. La monarchia saudita, custode dell'ortodossia sunnita, apre così un nuovo fronte e non soltanto di tesa diplomazia con l'arcirivale regionale, l'Iran sciita che appoggia il gruppo ribelle yemenita. A sostenere Riad c'è una coalizione di nazioni arabe o musulmane sunnite che si allarga: oltre ai vicini del Golfo ci sono anche le monarchie di Giordania e Marocco, l'Egitto, che ha fatto sapere d'essere pronto a sostenere l'Arabia Saudita. Il Cairo «risponde alla chiamata del popolo yemenita per il ritorno alla stabilità e la preservazione dell'identità araba», ha detto il rais Abdel Fattah Al Sisi facendo un chiaro riferimento all'espansione non gradita dai potentati sunniti della Teheran sciita e non araba, che mentre appoggia i ribelli yemeniti combatte anche e con successo in Irak contro lo Stato islamico e siede al tavolo del negoziato internazionale per la firma di un accordo sul suo programma nucleare.

Per i Paesi sunniti della regione sono troppi i fronti dove la Repubblica degli ayatollah gioca partite dagli esiti positivi. Per questo, Riad ha aperto un'inedita campagna militare che secondo fonti dell'esercito egiziano potrebbe portare nei prossimi giorni a un'invasione di terra: dal confine meridionale dell'Arabia Saudita dove si preparano 150mila truppe del regno, e dal porto di Aden dove potrebbe entrare in azione la marina egiziana. L'alleato americano offre sostegno logistico, e due Paesi musulmani, Pakistan e Turchia, hanno dato disponibilità e appoggio a Riad. Secondo i portavoce dell'esercito saudita, i due giorni di bombardamenti sono mirati a indebolire le postazioni Houthi per preparare un'operazione di terra. Sono stati colpiti ieri la roccaforte settentrionale del gruppo, Saada, e un campo di addestramento a Nord della capitale di sostenitori dell'ex rais Ali Abdullah Saleh, il presidente destituito durante i moti del 2011 e ora alleato dei ribelli. Al suo posto, era salito al potere il presidente Abed Rabbo Mansour Hadi, alleato degli Stati Uniti con cui Washington aveva avviato una collaborazione di contro-terrorismo per arginare l'avanzata di Al Qaeda nella regione. Oggi, con il leader in fuga e il dilagare del caos, il timore degli analisti è che il gruppo terroristico possa presentarsi alla popolazione sunnita come unica credibile protezione in difesa dei ribelli.

Quello dello Yemen è l'ennesimo fronte che si apre nella regione a quattro anni dalle rivolte arabe che hanno portato un po' ovunque a lotte intestine. Sempre di più, sono eserciti arabi a entrare in scena per arginare gruppi estremisti o proxy di altri Stati. È accaduto in parte con la coalizione internazionale che da mesi bombarda Siria e Irak: guidata dagli Stati Uniti è composta anche da nazioni del Golfo e dalla Giordania. In Libia, con l'avanzare dello Stato islamico nel caos locale, i primi jet ad alzarsi in volo dalle basi egiziane sono stati quelli degli Emirati Arabi. L'Egitto ha bombardato a febbraio.

Oggi in Yemen, a combattere è una coalizione prevalentemente araba, spaventata dall'espansionismo iraniano.

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