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Il Pd terrorizzato da Renzi si spacca sul voto anticipato

Iv lancia un piano da 120 miliardi. Cuperlo: «Vuole annientarci». E Zingaretti pensa alle urne per fermarlo

Il Pd terrorizzato da Renzi si spacca sul voto anticipato

«Renzi vuole annientarci. Ci ha lasciati al 18% e ora vuole annientarci». Da Bologna, dove il segretario Nicola Zingaretti ha radunato le truppe dem per una kermesse di rilancio del partito, arriva il grido di dolore di Gianni Cuperlo.

Ci sono due virtuali «piazze» di centrosinistra, e sono contrapposte: da Torino Matteo Renzi cerca di calamitare su di sé l'attenzione, nel giorno dell'assemblea zingarettiana, proponendo un «piano choc» di investimenti in opere pubbliche per i quali, sostiene, ha trovato 120 miliardi di potenziali coperture. Centoventi miliardi in tre anni, riproponendo il «modello Milano»: nuove infrastrutture, burocrazia semplificata ma anche forte intervento pubblico. Alta velocità fino al profondo sud, massicci interventi sul dissesto idrogeologico. E investimenti stranieri con la garanzia dello Stato, dice Renzi reduce da «due giorni a Londra a parlare con possibili investitori». Dal Pd Franceschini attacca l'ex premier: la sua campagna «no tax» e pro opere pubbliche, dice è un tentativo di fare l'occhiolino a destra, mentre «la legge di bilancio si cambia in accordo con gli alleati, non con gli avversari».

Quella renziana è una «provocazione», secondo Zingaretti. Un tentativo corsaro di oscurare la manifestazione del Pd, da parte dell'ex premier che è oggi considerato il nemico numero 1 dal Nazareno, e che ha fatto sapere di voler «fare al Pd quel che Macron ha fatto ai socialisti francesi», ossia dissanguarli elettoralmente. Per non farsi mancare niente, ieri anche Carlo Calenda ha annunciato la nascita di un suo movimento: verrà varato il 21 novembre prossimo, e la prima battaglia sarà «al fianco di Stefano Bonaccini» in Emilia Romagna, per ottenere la riconferma del governatore. Ma ad una condizione: che il Pd non si allei con M5s.

In questo caos che frammenta e divide il centrosinistra, proprio mentre Salvini e le destre creano quello che Zingaretti definisce «un clima da anni Venti del secolo scorso» e mentre la pur auspicata alleanza coi grillini non dà alcun segno di decollare, e anzi spinge sempre più nella palude il governo Conte bis, è comprensibile che il segretario del Pd pensi alla via d'uscita del voto anticipato. Un voto che libererebbe il Pd dal giogo di una coalizione di governo senza capo né coda, e che avrebbe il vantaggio di stroncare sul nascere la scissione renziana, senza dargli il tempo di radicarsi elettoralmente e di intercettare, come auspica Renzi, una fetta del voto moderato che andava al centrodestra. L'importante, come spiegava qualche giorno fa il vicesegretario Andrea Orlando ad alcuni compagni di partito, è che il Pd non appaia come il responsabile della rottura nella maggioranza: il cerino va lasciato ai Cinque Stelle, e le occasioni per farlo non mancano: non è un caso se una parte del Pd sta da settimane perorando la causa del ripristino dello scudo penale per Ilva, ben sapendo che i grillini su questo fronte rischiano l'implosione.

Il problema però, per Zingaretti e Orlando, è che per una parte robusta del partito il voto anticipato è uno spauracchio da scongiurare ad ogni costo.

Franceschini, capodelegazione nel governo e capofila di questa linea, ieri a Bologna teorizzava la necessità di andare avanti con il governo «nonostante i rifiuti e le difficoltà».

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