Politica

La Raggi cade dall'albero "Non mi ricandido, un successo se finisco"

La sindaca teme di non farcela e si nasconde dietro la regola dei due mandati: «Non si può»

La Raggi cade dall'albero "Non mi ricandido, un successo se finisco"

Virginia Raggi come l'abete natalizio Spelacchio: teme di non arrivare viva a fine mandato. A Roma c'è un'aria gelida ma nel calendario grillino è già agosto, il tempo in cui cadono le stelle. Quella di Alessandro Di Battista è temporanemente tramontata con la decisione di non ricandidarsi, il sindaco di Pomezia Fabio Fucci ha già annunciato che, bloccato dal limite dei due mandati, correrà al di fuori del Movimento, proprio come aveva fatto prima di lui il sindaco di Parma Federico Pizzarotti. E ieri è toccato a Virginia Raggi chiarire che lei non si ricandiderà, visto che ha già avuto un precedente mandato da consigliere comunale. Ai cronisti che le chiedevano se le dispiaceva, se era cosciente che il tempo minimo per avere qualche risultato da sindaco è due mandati, lei imperterrita ripeteva «è la regola che ci siamo dati», cavandosi d'impaccio dalle insistenze con una risata un po' a denti stretti, vista la situazione della città che amministra: «Mi sembra già un successo arrivare viva a fine mandato».

Nell'M5s non mancano le pressioni, come quelle del sindaco di Pomezia, per cambiare la regola dei due mandati. Ma lo stesso Di Maio l'ha riconfermata e difficilmente ci saranno dietrofront, almeno nel breve periodo, nonostante sia chiaramente irrazionale: che succederà, ad esempio, se dopo il voto di marzo non c'è maggioranza e si vota di nuovo dopo sei mesi? Quei sei mesi conteranno come un mandato falcidiando la classe dirigente grillina, già consumata dalle espulsioni a getto continuo? La regola resta perché ha un preciso senso legato a un messaggio chiave del marketing politico grillino: gli uomini a Cinque stelle non sono politici di professione, non sono attaccati alla poltrona. Un tema così importante che, di fronte alle pressioni interne per cambiare la regola, è intervenuto a marzo scorso lo stesso Grillo: «Questa regola - ha detto il padre fondatore del Movimento - non si cambia né esisteranno mai deroghe ad essa. «Ogni volta che deroghi a una regola praticamente la cancelli», diceva Gianroberto. I nostri portavoce continueranno a fare due mandati, a qualunque livello, e poi torneranno a fare il lavoro che facevano prima». E del resto l'M5s può permettersi questo limite tassativo perché chi comanda, davvero, Grillo e Casaleggio non si sottopone al voto e quindi può restare in carica a vita.

Resta da vedere fino a quando la retorica dei «portavoce» e dei «cittadini prestati alla politica» frutterà più dei danni prodotti dai suoi effetti collaterali: portare al governo solo persone con scarsa esperienza, creare malumori e faide tra i propri attivisti, costringere i big del partito a ricorrere a ritirate strategiche come quella di Di Battista.

A Roma intanto l'annuncio della Raggi ha scatenato le consuete ironie: «Non si ricandida? Un regalo ai romani», chiosa il segretario cittadino del Pd Andrea Casu. E, battute a parte, il vero problema per i grillini non è certo se si ricandidi o meno la Raggi, ma in che condizioni arriverà al voto l'amministrazione. La sindaca è indagata, la città è sommersa di spazzatura e la grande promessa di aprire una nuova linea di metropolitana nello scorso autunno, non è stata rispettata e non è stata nemmeno fissata una nuova data. Non va meglio neanche a Chiara Appendino a Torino, isolata in maggioranza.

Due mandati bastano e avanzano.

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