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Referendum, minoranza Pd: ​"Non firmiamo per bon ton"

Un gesto di "bon-ton costituzionale": così definiscono nella sinistra Dem la scelta di alcuni di non sottoscrivere la richiesta di referendum

Referendum, minoranza Pd: ​"Non firmiamo per bon ton"

"Ormai non è più una novità nel Partito democratico c'è una parte che fa opposizione su tutto. La scelta era stata presa tutti insieme. Se qualcuno ha cambiato idea, mi spiace ma non conta. Ce ne faremo una ragione, noi comunque andiamo avanti". Matteo Renzi, parlando in diretta tv dal Messico, commenta la notizia che una parte della minoranza Dem non ha firmato la richiesta per il referendum sulle riforme costituzionali depositata in Cassazione dal Pd insieme alla maggioranza e alle altre forze politiche che l'appoggiano.

Un gesto di "bon-ton costituzionale": così definiscono nella sinistra Dem la scelta di alcuni di non sottoscrivere la richiesta di referendum. Tra coloro che non hanno firmato ci sono Pier Luigi Bersani, Gianni Cuperlo, Roberto Speranza, ma anche Andrea Giorgis, Enzo Lattuca, Giuseppe Lauricella, Carlo Pegorer e Miguel Gotor. Non si tratta di uno schiaffo a chi ha promosso la consultazione popolare, come dimostra il fatto che alcuni nella stessa minoranza hanno firmato, dal senatore Federico Fornaro alla deputata Maria Luisa Gnecchi. È un "gesto di riguardo", un "piccolissimo gesto simbolico" per contribuire a far sì che la consultazione referendaria sia sul merito e non sul governo o sul Pd.

Il ragionamento è questo: il referendum previsto dall'articolo 138 della Costituzione è un istituto pensato come extrema ratio per coloro che non concordano con la riforma e non la votano, non come lasciapassare per chi l'ha promossa e votata ma non ha ottenuto la maggioranza dei due terzi dell'aula (come invece prevede la carta costituzionale in caso di sua riforma). La minoranza vuole evitare di creare un precedente in base al quale ci si approva la riforma a maggioranza semplice anziché qualificata - come avvenuto in questo caso - senza quindi cercare un consenso più ampio e poi si fa l'appello al popolo per legittimarsi. "Quando Renzi annunciò che avrebbe chiesto il referendum - spiegano parlamentari Dem - gli dicemmo che sbagliava e che doveva cercare la maggioranza dei due terzi e il compromesso in Parlamento. Altrimenti altre maggioranze in futuro potranno approvarsi la riforma costituzionale che vogliono e dopo venire legittimate dal plebiscito popolare, ma questo è contrario alla logica costituzionale". La minoranza però non vuole si monti un caso, anche perché - sottolinea - "non c'è stato alcun ordine di scuderia", come dimostrano i diversi atteggiamenti all'interno della stessa sinistra Dem. Anche il capogruppo dei deputati, Ettore Rosato, sminuisce: la mancata firma "non determina nulla", il dato politico, per il presidente di gruppo, è che la minoranza abbia votato le riforme. Insomma, la mancata sottoscrizione della richiesta depositata in Cassazione non significa un 'nò nelle urne alla riforma costituzionale. A chiarirlo sono sempre i parlamentari della sinistra Dem che ribadiscono di essere contrari all'Italicum ma non alla riforma della Costituzione, che hanno votato. La richiesta, depositata oggi in Cassazione da senatori e deputati, si somma a quella già portata dalle opposizioni (Sel, M5S, Fi, Lega e Conservatori e riformisti). Di fatto, un doppione. Matteo Renzi aveva infatti promesso il referendum anche se in Parlamento si fosse raggiunta la maggioranza dei due terzi.

Ma le opposizioni hanno fatto lo sgambetto e hanno presentato la richiesta prima, battendo sul tempo il Pd.

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