Elezioni Politiche 2018

Renzi a picco: noi opposizione. La fronda vuole le dimissioni

Per gli exit poll Pd al 21-23%, così il segretario rischia di saltare. Lui: "Alleanze? Manco morti. Caccia contro di me"

Renzi a picco: noi opposizione. La fronda vuole le dimissioni

Dal 40 al 20: la notte più cupa il Pd la passa aggrappato ad un numeretto che è la metà esatta della cifra del trionfo, alle Europee del 2014.

La soglia del 20%, che fino a che non saranno spogliati i voti di lista non sarà chiara, grazie ai complessi meccanismi del Rosatellum, fa tutta la differenza per il Pd di Matteo Renzi. Sopra quella soglia, il segretario tenterà la resistenza, sotto si arrenderà. Sfidando la sorte, il leader Pd si mette in macchina a tarda sera con il portavoce Marco Agnoletti e approda a Roma, al Nazareno, dove lo attende il suo stato maggiore e un esercito di cronisti (300 quelli accreditati, più che in qualsiasi altra occasione). Si chiude nella sua stanza al secondo piano, col vicesegretario Martina e il tesoriere Bonifazi, con Luca Lotti, Alessia Morani, Lorenzo Guerini. In attesa dei primi risultati. Qualche buona notizia arriva: il contestatissimo Pierferdinando Casini, a Bologna, avrebbe stracciato gli avversari (incluso Vasco Errani di Leu) con il 44% di voti nel collegio.

Dalla minoranza Pd, c'è già chi alza l'asticella: «Sotto il 22% non possiamo reggere», avverte Gianni Cuperlo. Come dire che le dimissioni del segretario verranno chieste comunque, e che la minoranza orlandiana vuol provare a chiedere una conta interna. E nel Pd si aprirebbe una difficilissima successione, con molti che guardano a Paolo Gentiloni come possibile exit strategy soft, altri che pensano a Walter Veltroni come salvatore di quel che resta della patria. Ma tutto ciò è di là da venire, e per ora l'orizzonte resta molto confuso. I primi exit poll alimentano un filo di speranza, facendo oscillare la forbice al di sopra del 20%, fino alle soglie del 23%.

Il segretario però una certezza la ha: «Se questi sono i risultati, noi siamo chiaramente sconfitti. E l'onere di provare a dare un governo al paese deve prenderselo chi ora canta vittoria. Noi saremo all'opposizione, punto». Non sono parole casuali: il leader Pd sa che, con i grillini sopra la soglia del 30%, l'ipotesi di un incarico (con riserva, sperimentale, magari per bruciarlo) ai Cinque Stelle per provare a cercare una maggioranza non è escluso. E a quel punto, in nome della «governabilità», anche a sinistra potrebbe partire la corsa alla «responsabilità»: «Quelli di Leu, pur di sopravvivere, sono già pronti a dare i loro voti a Di Maio. Ma anche nel Pd qualcuno potrebbe iniziare a ragionare in questo senso», dice un esponente dem. Del resto, c'è chi - come Emiliano - lo ha già detto apertamente. La risposta di Renzi è netta: «Manco morti. Se il popolo non ha dato ai grillini la maggioranza, non possono pensare di venire a chiedere a noi di fare la stampella». Lo stesso discorso dovrebbe valere, sulla carta, anche per un tentativo di governo a maggioranza centrodestra, con Forza Italia e quelli che Renzi annovera tra gli «estremisti», ossia Lega e Fratelli d'Italia. Il primo quadro fornito dagli exit poll consegna una sola certezza: nessuna maggioranza autosufficiente è possibile, e Paolo Gentiloni - se così sarà confermato - è destinato a restare a Palazzo Chigi mentre il capo dello Stato tenta di sbrogliare la matassa. Un capo dello Stato cui, indirettamente, il segretario Pd rimprovera: «Avevo chiesto di votare prima del 2018, e senza cambiare la legge elettorale visto che avevamo il Consultellum.

Tirare avanti con questa legislatura ha alimentato la caccia a Renzi, e gli unici a guadagnarci sono stati i Cinque Stelle».

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