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La scoperta dell'America: "Di Maio neanche laureato"

Sul New York Times la stroncatura del candidato del M5s. Ma lui si vanta: "Gli Usa interessati a noi"

La scoperta dell'America: "Di Maio neanche laureato"

Negli Stati Uniti si è sparsa la voce che Luigi Di Maio non abbia neppure finito gli studi né abbia mai lavorato in vita sua. Non che in America si interroghino più di tanto sul curriculum del miracolato di Pomigliano D'Arco, ma siccome ci è volato lui a Washington per provare ad accreditarsi con la Casa Bianca, qualcuno si è chiesto chi fosse mai costui, candidato premier di un movimento politico fondato da un comico italiano (Grillo negli Usa ci andò decenni fa per registrare le puntate di Te la dò io l'America). Per la verità, la visita di Di Maio è stata finora ignorata dai giornali Usa, nonostante sia andato di persona persino dentro la sede del Washington Post. Di Maio who? E infatti l'unico a scrivere di lui non è stato un editorialista a stelle strisce ma l'italianissimo (sebbene anglofilo) Beppe Severgnini, sul New York Times, nello spazio riservato ai contributors esterni della storica testata.

Così i lettori americani hanno potuto apprendere che a correre per il ruolo di primo ministro, in uno dei partiti più popolari in Italia, è in corsa un signore che «non ha mai completato i suoi studi e non ha mai fatto un vero lavoro», e se ai fan M5s Di Maio piace molto, «il resto dell'Italia è perplesso. È completamente inesperto, e quando (i grillini, ndr) hanno avuto la possibilità di governare, hanno dato prova di incompetenza. Sotto il sindaco Virginia raggi, per esempio, Roma sta andando in rovina».

Il disastro del M5s nella Capitale, meta adorata dagli americani, è un fatto noto per i lettori del Nyt. In un recente pezzo (titolo: «La sporca metafora di Roma»), il quotidiano Usa ha demolito la gestione Raggi, che in un anno «non ha fatto nulla». Anche sulla linea no-Vax del movimento, il commento è stato duro: «Le relazioni del M5s con gli uomini della propaganda filo-Putin, poi, hanno insospettito ancora di più gli Usa, già dubbiosi sull'affidabilità dei grillini.

La missione diplomatica di Di Maio al Dipartimento di Stato americano serve appunto a recuperare la fiducia. Racconta il grillino, «come prima cosa ho chiarito che il M5s non è isolazionista né filorusso», «qui sono pieni di pregiudizi nei nostri confronti, per le demonizzazioni di questi 5 anni contro di noi». Lui li ha rassicurati su tutta la linea: «non mettiamo in discussione la nostra permanenza nella Nato», «non ci interessa nemmeno uscire dall'Europa». Di Maio racconta di aver trovato «l'interesse sincero dei rappresentanti del governo americano nei confronti del Movimento 5 Stelle e delle nostre proposte».

Certo, osserva il politologo Alessandro Campi, considerato il curriculum medio dei membri del Congresso Usa, «lunghi anni al college, master in qualche prestigiosa università, anni di ferma nell'esercito, professioni di quelle che fanno guadagnare centinaia di migliaia di dollari l'anno, attività di consulenza per qualche multinazionale» e molto altro, c'è da chiedersi che impressione abbia fatto «un fuori corso disoccupato, già steward allo stadio, intenzionato a spiegare loro come governerà l'Italia».

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