Cronache

Sequestri, decine di stupri, 4 omicidi Preso a Milano il capo del lager libico

L'aguzzino, un somalo 22enne, fermato in stazione Centrale per sevizie e violenze. La pm Boccassini: "Mai visto un orrore simile"

Sequestri, decine di stupri, 4 omicidi Preso a Milano il capo del lager libico

Milano - «In quasi quarant'anni di carriera non ho mai trovato tanto orrore nelle deposizioni delle vittime». Il procuratore aggiunto di Milano e coordinatore della Dda Ilda Boccassini parla anche «da cittadina e da madre». Il racconto delle violenze entrato nell'inchiesta contro Osman Matammud, somalo di 22 anni arrivato in città nel settembre scorso e ospitato nel centro profughi di via Sammartini, supera il peggiore degli incubi. «Un lager», secondo gli inquirenti, era quello che gestiva nella città libica di Bani Walid. È accusato di centinaia di sequestri a scopo di estorsione, decine di stupri e quattro omicidi. Tutti a danno di connazionali. «Fatti agghiaccianti», li ha definiti il procuratore Francesco Greco.

Le circostanze del suo arresto, avvenuto a Milano per caso, ricordano quelle della cattura di Anis Amri, responsabile dell'attentato di dicembre a Berlino. Nel pomeriggio del 23 settembre 2016 una pattuglia della polizia locale nota davanti all'hub di via Sammartini, non lontano dalla stazione Centrale, un gruppo di somali che circondano un connazionale. Stanno per aggredirlo. Gli agenti li bloccano, ma raccolgono i loro racconti. Tra loro due ragazze minorenni: hanno riconosciuto in quell'uomo il loro aguzzino nel campo di raccolta libico in cui sono stati rinchiusi per mesi prima di imbarcarsi per l'Italia. Partono le indagini affidate al corpo del comandante Antonio Barbato e coordinate da Boccassini e dal pm Marcello Tatangelo. Quel giorno Matammud viene fermato «solo» per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Ieri è arrivata l'ordinanza di custodia cautelare del gip Anna Magelli per gli altri reati. Il 20 gennaio è fissato l'incidente probatorio che metterà a confronto indagato e testimoni. «Sono orgogliosa del lavoro della polizia locale», dice l'assessore comunale alla Sicurezza Carmela Rozza».

Le vittime che hanno denunciato le sevizie sono una decina. Ma la Procura si aspetta che con la pubblicazione della foto di Matammud si facciano avanti altri migranti che hanno subito lo stesso inferno e che possano aiutare a delineare l'organizzazione dietro il 22enne. Il quadro ricostruito, spiega Boccassini, «è purtroppo per difetto». I profughi restavano nel campo dell'orrore tra i due e i sette mesi. Il capo era Matammud, conosciuto dai prigionieri come Ismail. Erano in più di 500, uomini e donne anche minorenni, richiusi in un hangar con due soli bagni. Dormivano per terra. Per il viaggio pagavano 7mila dollari e gli aguzzini chiamavano i parenti dei prigionieri per farsi inviare il denaro. Al telefono facevano loro ascoltare le urla dei torturati. Gli uomini venivano portati nella «stanza delle torture» e le donne violentate «con frequenza quotidiana». Le sevizie continuavano anche dopo che le famiglie pagavano. Se un profugo restava nel campo per più di un anno senza fruttare soldi, veniva ucciso a sprangate o strangolato. In uno dei cellulari dell'indagato è stata trovata la foto di un uomo flagellato. Le violenze sono state anche accertate dai medici legali italiani. Ecco il racconto di una ragazza: «Sono stata violentata moltissime volte da Ismail, tutte le notti dopo la prima». A volte «oltre a violentarmi mi picchiava, con pugni, calci spesso con la cinghia». Ai maschi «mettevano sul dorso nudo dei sacchetti di plastica a cui davano fuoco, la plastica incendiata colava sulla schiena». E quello di un uomo: «Ismail mi faceva mettere le pinze sul petto e poi faceva partire la corrente elettrica, fino a che svenivo.

Gli piaceva torturarci».

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