Cronache

Se la casa è un ristorante (anche quella di La Mantia)

Il boom degli "home restaurant" ha contagiato anche gli chef. Ecco dove trovare i posti migliori per cenare come nel proprio salotto. E mangiare piatti d'artista

Se la casa è un ristorante (anche quella di La Mantia)

In un periodo dove si assiste all'esplosione degli home-restaurant – trasformando il salotto e la cucina in un locale a pagamento – è sfuggito a molti che sta avvenendo il fenomeno all'opposto. Non ha mai fatto notizia, soprattutto in un paese tradizionale per il cibo come il nostro, che i proprietari facessero di tutto per far sentire il cliente «a casa», sia nell'accoglienza sia nell'ambiente. Come è vanto diffuso– discutibile in molti casi – che si mangino i piatti «della nonna», fortunatamente rivisti quando gli chef sono bravi. Oggi, che indubbiamente c'è voglia diffusa di casa, di informalità mentre si mangia, di coccole insomma, ecco che si assiste allo sviluppo di concept di alto livello – quanto di più lontano dalla ristrutturazione della cascina o similari – in cui l'ambiente richiami fortemente la sala da pranzo e i piatti non siano banali, anzi.

Il caro vecchio tinello, recuperato dagli anni '60-70 e considerato morto dall'avvento delle cucine open-space, diventa centrale e sta per prendere il posto del prive asettico o del tavolo dello chef, non di rado più scomodo di quelli in sala.

Davide Oldani , il maestro della cucina Pop, ha ragionato molto sul progetto del nuovo locale, 1000 mq sulla bella piazza a fianco del D'O attuale: soggiorno, veranda, grande sala ristorante, libreria, studio, cantina... E tinello, ovviamente, proprio davanti alla cucina, dove sarà allestito il tavolo per gli ospiti di riguardo. «Il tavolo dello chef? Roba vecchia – spiega -. Il primo si può dire che l'ho inventato nel ‘96 quando lavoravo da Giannino. Ma oggi serve qualcosa di diverso: accoglierli nel nostro mondo, invitarli a casa».

È quello che sta facendo da qualche mese Filippo La Mantia, oste e cuoco come ama definirsi – che ha letteralmente trasformato il Gold di Dolce&Gabbana in uno spazio di 1800 mq, firmato da Piero Lissoni che ha mixato pezzi storici di design e creazioni di emergenti, immagini di Gianmarco Chieregato e porcellane Richard Ginori, tende in lino grezzo e divani da collezione. Quanto il Gold era inedito ma freddo, rigoroso qui è tutto caldo e morbido.

«Qui si può mangiare per tutto il giorno, che sia un arancino o un menu intero» è lo slogan di La Mantia, che ha persino eliminato la carta del lunch visto il successo del buffet siciliano a cui si servono ordinatamente manager incravattati, signore bene, turisti stranieri che si sistemano il piatto sul tavolino in mezzo alle poltrone. Milano è all'avanguardia sul tema. Da café-ristorante con salotto e un angolo libreria come l' Arabesque di Chichi Meroni ai bistrot dove si è ricreata l'atmosfera domenicale anni '60 come Aromando , dall'originale Casa Eatery ispirato a una sequenza di tinelli e dove si possono acquistare prelibatezze sugli scaffali all'esclusivo Home Delicate Restaurant in zona Tortona (design al potere).

«Volevo offrire familiarità e informalità, scegliendo arredi e materiali particolari – sottolinea Monica Bagnari, la titolare – e in definitiva per far sparire le barriere tra pubblico e privato. E poi è un posto che si trasforma tra pranzo e cena, questo è un concetto che si tende a trascurare». Il 2015 segnerà certamente la stella Michelin – ma per noi ne vale già due – del primo locale «intimo» al top: Casa Perbellini , a Verona, affacciato sulla splendida piazza romanica di S. Zeno. Una casa «vera», residenza di Giancarlo Perbellini , un nome importante: la piccola porta dà su un'anticamera con banco e un tavolo, subito a fianco c'è un salone – con una trentina di coperti – diviso in due parti.

Quella più grande è tutt'uno con la cucina a vista, aperta e senza manco un vetro a separarla; quella più piccola è una sorta di privè comunque comunicante con il resto dell'ambiente. Qui si fa alta cucina, costosa, e non la versione più economica o semplice. «Volevo cambiare la mia storia e avevo il desiderio di riportare il “cuoco”, e sottolineo il termine, al centro del palcoscenico vero.

Qui misteri non ce ne sono» spiega Perbellini, che sta entusiasmano critica e pubblico, non facendo rimpiangere lo storico locale – totalmente diverso – di Isola Rizza.

Che il concetto sin qui espresso, abbia un carattere fortemente italiano, lo prova il fatto che se è vero se il freddo Aveline di San Francisco è stato celebrato da Architectural Digest come «l' esempio più ricercato di ristorante con tinello annesso», il più famoso in America è il suggestivo Kitchen Table, a New York. La proprietaria Grace Park, ha ricostruito fedelmente la casa dei suoi genitori a Little Italy: piace tantissimo, vi sorprende?

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