Sport

Berlusconi 30 e lode: "Milan credici, così torni a vincere"

Il Cav carica i suoi: "Squadra ricca di talenti, servono le motivazioni. E il coraggio che avemmo nell’86"

Berlusconi 30 e lode: "Milan credici, così torni a vincere"

o Sono passati trent’anni ma il fascino e la suggestione sono rimasti gli stessi di quel giorno di febbraio quando Silvio Berlusconi planò con l’elicottero per la prima volta su Milanello dai tetti bucati, per debuttare da presidente portando in dono a quel Milan di Nils Liedholm e Paolo Rossi un calice d’argento Cartier. Ieri, scortato dalla figlia Barbara e dal fedelissimo Adriano Galliani, il presidente è arrivato sempre in elicottero (stessi piloti di allora), ha pranzato con lo staff tecnico, ha riunito la squadra nella sala del caminetto e spiegato loro, per provare a convincerli, un altro cavallo di battaglia lanciato prima di Atene ’94, vigilia della finale Champions col super favorito Barcellona di Cruyff e del voto del Senato al suo primo Governo. Eccolo: «Chi crede, chi crede davvero può diventare anche re», oggi sintetizzato dallo slogan stampato sui quotidiani “chi crede vince”. «La vostra è una rosa molto ricca di talenti, perciò se avete dei grandi valori e delle motivazioni straordinarie potete vincere le partite», il suo intervento riassunto poi in sala stampa e arricchito da aneddoti, battute (un paio su Balotelli), e una serie di spunti attraenti e di ricordi tenerissimi. Il primo dei quali è datato 1 luglio dell’87, castello di Pomerio, raduno di due giorni «con esercizi spirituali, compresa la santa messa, per esporre un programma molto impegnativo, fatto di appuntamenti e di scadenze». Fu l’inizio della straordinaria cavalcata. «Avemmo coraggio da vendere» è stata la riflessione di Silvio Berlusconi perché poi furono centrate «una striscia di vittorie e di soddisfazioni oltre che di bel gioco». La rivoluzione copernicana del Berlusconi calcistico fu altro ancora. «Quando arrivammo noi, il calcio italiano era legato soltanto a uno schema difensivo, specie nelle partite in trasferta, con la possibilità unica del contropiede: noi del Milan l’abbiamo abolito e sostituito con il marchio del gioco offensivo a tutto campo», la spiegazione didascalica che oggi deve fare i conti con «un ciclo di segno diverso perché nel calcio, come in politica, non si può vincere sempre».

Ed ecco le fondamenta del prossimo Milan «composto di soli italiani», con un alto tasso di calciatori provenienti dal vivaio rossonero, «oggi ne abbiamo già sei, in pratica tutta la linea difensiva, ci manca un attaccante perché di attaccanti italiani di grande qualità se ne vedono pochi per la presenza di tanti stranieri in quel ruolo». E qui le citazioni sono quasi d’obbligo: una per Bacca («spietato bomber»), l’altra per Buonaventura («io lo vedo come 10 dietro le punte»), una per Luiz Adriano («Galliani può adottarlo») passando per Balotelli («se giocasse più vicino alla porta!») ed El Shaarawy («non ha voluto trasformarsi in attaccante centrale»). Uno come Silvio Berlusconi, che ha attraversato trent’anni di sfide impossibili vinte e di successi scivolati in sconfitte, non si è nascosto le insidie dietro l’angolo, il Napoli di lunedì sera la prima della serie, la più vicina. «La squadra di Sarri è un leone ferito, non meritava di perdere con la Juve, avrà il pubblico alle spalle che spingerà la squadra, sarà una prova molto difficile, ho spiegato al gruppo come reagire dinanzi a quel clima», il tocco d’attualità. Prima di passare al capitolo delle riforme, le tante suggerite («la formula moderna della Champions, l’abolizione dello 0 a 2, persino l’alimentazione prima delle partite») in un calcio cambiato radicalmente nei suoi 30 anni di presidente. «Vorrei che la prossima fosse l’adozione del gioco effettivo come nel basket, per evitare tutte quelle perdite di tempo durante i calci di punizione, sono sicuro che un giorno arriverà» la sua convinzione. Seguita da un giudizio estetico che è poi un manifesto della sua idea di calcio.

«La squadra che mi fa divertire in questi ultimi anni è il Barcellona» la sentenza seguita dalla consapevolezza che «i grandi campioni di Real Madrid e Barça hanno ormai quotazioni impossibili». Di qui, quasi naturale, il punto sulla trattativa con mister Bee e sulle «tre scadenze saltate in luglio, settembre e gennaio 2016» per via della grande crisi che ha colpito le borse asiatiche. «Ci piace molto mister Taechaubol ed è interessante il suo piano che porterebbe 100 milioni in più di fatturato, speriamo di poter concludere. Abbiamo detto no ad altre offerte che sono tese a speranza di popolarità. Però gli abbiamo dato una data, alla fine del campionato italiano» la stoccata che sa un po’ di ultimatum. Alla fine un altro paio di interviste tv, con Sky la prima (si è mosso il direttore Fabio Caressa) e con Milan channel, prima di salutare anche i tifosi rimasti dietro i cancelli e tornare ad Arcore.

A immaginare, forse, un altro Milan e un altro mondo.

Commenti