Casini teme la fine di Tremonti e Fini

di Salvatore Tramontano

Corna, scongiuri e fattucchiere. Ora Casini teme di fare la fine di Fini e Tremonti, colpiti dall’abbraccio mortale di Repubblica e Pd. Tanto che qualcuno comincia a chiamarla la maledizione dell’anti Silvio.
È questa ricerca disperata da parte di Repubblica e del Pd di un berlusconiano pentito in grado di dare l’ultima coltellata, quella che dovrebbe far caracollare il Cavaliere giù dalla storia. L’uomo di Arcore viene raccontato sempre all’ultima stazione, ma tutti gli sforzi per vederlo uscire di scena sembrano vani. La speranza dell’opposizione si chiama spallata finale. Chi la darà? Avanti il prossimo. L’antiCav della provvidenza. Doveva essere Fini. Si è spezzato il futuro. Quindi Mauro e Bersani ci hanno provato con Tremonti. È stato sfrattato. Non resta che Casini: l’idea è di gettare lo sguardo su di lui. E Pierferdinando ha già cominciato a fare scongiuri. Non sia mai che la maledizione tocchi pure lui, che dell’arte dell’equilibrismo ha fatto una scelta di vita, sempre attento a muoversi con cautela su quella linea sottile che con molta enfasi viene soprannominata centro.
Casini in fondo ha le sue ragioni. Basta appunto ricordare come è andata con i suoi predecessori, tutti quelli baciati dalla «benedizione» di Rep e Pd. Fini doveva essere una scommessa sicura, una cosa da professionisti della combine, una partita sulla quale puntare un bel gruzzolo, scambiandosi l’informazione al telefono come fanno certi bravi calciatori. Il copione era scritto. Prendi il delfino per antonomasia, il numero due più longevo della storia della politica, gli spifferi informazioni importanti, lo prepari e lo metti in corsa. Basta poco per piazzarlo al posto del capo e cambiare la scena. Magari racconti che lui, il delfino, è la destra pulita, moderna, quella che fa il futuro e va a braccetto con il partito dei giudici. Fini però ha sbagliato i tempi, i modi, gli uomini, le ambizioni e tutto quello che si poteva umanamente sbagliare. Adesso è lì che galleggia sulla poltrona ad personam della Camera, con un partitino diviso in mille correntine e la prospettiva di andare a fare il numero due di Casini. Se gli va bene. Ma in fondo almeno quello è un mestiere che è abituato a fare.
Tremonti è di un’altra pasta. Le frizioni con Berlusconi ci sono, ma il superministro dell’Economia ha saputo tenere il carattere a freno. Ha capito che non è il caso di seguire le sirene di Bersani o dell’eterno Scalfari. La scelta di affidare il partito ad Alfano lo ha ridimensionato, le chiare ambizioni di leadership di Maroni gli hanno tolto l’appoggio incondizionato della Lega. Giulio non è uno sprovveduto. Si coccola il merito di aver tenuto i conti in equilibrio. Gli rimproverano la fase B, quella dello sviluppo, ma lui sa che è una questione molto più complicata di quello che si pensi. Sull’ultima manovra cerca di non metterci più di tanto la faccia. Si nasconde. Non sarà lui il sicario politico del Cav. Ma già l’idea, i sussurri, gli hanno creato danni e scivoloni.
Davvero Casini fa bene a preoccuparsi. Non c’è rimasta tanta gente in giro adatta a quel ruolo. C’è lui. Forse ci potrebbe essere Maroni. Poco altro.

Ma a questo punto meglio fermarsi e aspettare che la storia faccia il suo corso. Repubblica e il Pd continuano a tendere trappole, quasi come Wil il Coyote. Ma non c’è nulla da fare. La maledizione dell’anti Silvio non perdona. E Casini si tocca.

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