Ci vogliono spalle grosse per gestire il dopo. È strano. Il dopo Berlusconi non è ancora allorizzonte, ma la caduta di questo muro italiano sta già cambiando il volto e lo sguardo di chi da sedici anni sogna questo momento. Non cè serenità. Cè rabbia, livore, tensione, cè fretta, tanta fretta, e fame. Sembra la scena di un film surreale, gruppi di sbandati si aggirano tra le macerie per contendersi quello che resta. È come se le crepe che si intravedono sul muro berlusconiano avessero generato discordia tra i suoi avversari. Non cè più il grande nemico a tenerli insieme. Ora ognuno di loro vuole tutta per sé la preda, il premio per la vittoria. Il guaio è che tutto questo arriva prima. Non hanno ancora vinto, il premier non è morto, ma loro già fanno i conti per spartirsi leredità. Viene in mente uno di quei proverbi che il vecchio Trapattoni dispensava ai giornalisti in conferenza stampa: non dire gatto se non ce lhai nel sacco. È la storia, insomma, della pelle dellorso, di chi la vende o se la contende.
Non ci sono più i sorrisi, le pacche sulle spalle, quel romanzo che si sono raccontati dellItalia migliore, diversa, resistente. Sono sputi e parole al veleno. È il volto scuro di Lucia Annunziata che sbatte alle spalle le porte di Rai3 digrignando di «piccole mafie». È la risposta stizzita e orgogliosa di Paolo Ruffini: «Io, Lucia Annunziata sono pronto ad accoglierla a braccia aperte: lei è coccolatissima e i suoi programmi sono trattati come dei gioielli, però le sue sono accuse sbagliate: lei non si può lamentare e parlare di piccole mafie. È troppo, è un termine che non si usa. Lha detto a unintera rete e dovrebbe rettificare: la parola mafia ha un significato preciso, lo dico da siciliano, e il primo passo tocca a lei». Qualcosa si è rotto nella roccaforte antiberlusconiana. Come non funziona più la repubblica della bella informazione. Santoro e Mentana pesano la loro distanza professionale e umana. E il padrone di Annozero si inventa una nuova discriminante antropologica: Io e Chicco siamo diversamente liberi. Nel senso di Santoro è libero libero, Mentana fa solo finta. Questa storia non finirà così.
È un vecchio vizio della sinistra quello di assaporare la vittoria e cominciare subito a fare i conti sui quarti di nobiltà. Io sono più antifascista di te, più partigiano, più stalinista, più cinese, più cubano, più puro, più incazzato, più «questionante morale», più giacobino, più puritano. E ora, soprattutto, più antiberlusconiano. Alza la voce il mite Bersani per rivendicare la leadership contro Vendola, Grillo o Di Pietro. Pontifica Travaglio contro chi abbassa la guardia e spegne il suo spirito anti Cav. I finiani hanno scoperto di non essere tutti della stessa razza. Ronchi e Urso sono stati di fatto ghettizzati da Briguglio, Granata e Filippo Rossi, con Fini e Bocchino che fanno coppia a sé, come due sbandati dispersi nel deserto delle loro ambizioni frustrate. Fa il santo Casini raccontando ad ogni angolo di strada laudacia di aver rifiutato, contronatura, poltrone e poltronissime. Il ragionamento è più o meno questo: siccome abbiamo fatto la fame meritiamo un posto nel paradiso che verrà. Ma questa storia dei «santi uddiccini» sta mandando in bestia Di Pietro.
Tonino è furbo. Ha capito che i voti di Berlusconi non torneranno in circolo in modo lineare. Sono un capitale eredi definiti. E sono tanti. Il giorno in cui il Cav dovesse lasciare il terreno di gioco la politica italiana avrà un vuoto di consensi, unimplosione. Chi riconquisterà quei voti? Di Pietro ci vuole provare. Ha capito che a sinistra ci sono troppi galletti. Lo spazio è chiuso e anche il centro è affollato. Serve uno scarto a destra. In qualche modo punta a proporsi come alternativa moderata a Bersani e a Vendola. È unoperazione lenta, di lungo periodo, che presuppone il fallimento delloperazione Alfano e la disgregazione del Pd. Ma è lì che Tonino adesso guarda.
È qui il paradosso. Berlusconi resiste, gli antiberlusconiani si stanno sbranando tra di loro. Chi poteva immaginarlo.
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