di Stefano Zurlo
U n curriculum che stride con il giuramento di fedeltà al califfato. Aftab Farook era una promessa del cricket, aveva vestito la maglia azzurra e nel 2009 era stato il capitano della nazionale under 19. Ora era pronto per compiere una strage. Una mutazione genetica che sconcerta. Diventa sempre più difficile nell'era del web e del radicalismo islamista prendere le misure a terroristi senza passato, senza storia, senza frequentazioni di cattivi maestri. Il contagio è come un virus che arriva all'improvviso, cattivo e distruttivo. Bastano pochi mesi di navigazione e messaggi in rete per sconvolgere la mente di un ragazzo che magari apparteneva ad una famiglia integrata, frequentava la scuola, aveva vinto il dramma della miseria. La vicenda di Farook è simile a quella di tanti altri giovani che si sono votati al martirio partendo da un'esistenza piatta e anonima sul bordo delle nostre metropoli. La radice musulmana aiuta a capire perché il resto è davvero nebbia. La foschia di Internet, il luogo senza spazio in cui si incrociano senza filtro ideologie e suggestioni assassine pronte all'uso. Con apprendistati velocissimi e rudimentali. L'opposto rispetto ai brigatisti degli anni Settanta che uscivano dalla fucina di fabbriche e università dove avevano studiato, discusso, litigato fino a compiere la scelta sanguinaria della rivoluzione armata. Una follia ma dentro un percorso. Oggi tutto appare più sfumato, più confuso, più indecifrabile ma il risultato non cambia, anzi la contabilità di morte si fa sempre più imponente. E da dietro l' angolo sbucano giovani carichi di violenza, fanciulli cresciuti di cui credevamo di sapere tutto e invece non sappiamo nulla.
Il fanatismo sgorga nella routine e si confonde con la vita quotidiana. Questo, nella fluidità caleidoscopica di lupi solitari e organizzazioni strutturate, spiega anche l'incertezza della magistratura. Da Andria a Merano è un susseguirsi di colpi di scena che creano sconcerto nell'opinione pubblica. Quel che per un giudice è un pericoloso macellaio per un'altra toga diventa la vittima di un clamoroso errore giudiziario. Non è facile orientarsi in questo labirinto, non è semplice capire quando la giustizia diventa un ponte di bambù che oscilla vistosamente. In questo contesto magmatico si capisce la strategia delle espulsioni, scelta a ragion veduta dal nostro ministro dell'interno.
Nel dubbio che l'inchiesta sia destinata a polverizzarsi, meglio spedire il presunto pericolo pubblico a qualche migliaio di chilometri di distanza. Resta però la contraddizione di fondo: chi voleva mettere le bombe in Italia ci proverà anche in Pakistan o Tunisia. L'espulsione è un cerotto ma non può essere la soluzione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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