Il divorzio si accorcia. Ma in attesa che la proposta diventi legge, resta alla Chiesa il record dei tempi di scioglimento.
Il Senato ha approvato ieri il ddl sul divorzio breve, attraverso il quale si persegue il taglio della durata del periodo di separazione: oggi è necessario attendere 3 anni, ma quando la norma entrerà in vigore basteranno 6 mesi in caso di scelta consensuale, un anno e mezzo nell'eventualità di addio giudiziale. Un traguardo tuttavia ancora lontano, visto che le modifiche introdotte dai senatori renderanno necessario un ulteriore passaggio alla Camera mentre, per risparmiare insidie ad una maggioranza in equilibrio precario, il Pd aveva sollecitato e ottenuto lo stralcio delle disposizioni sul divorzio immediato, che avrebbe consentito di evitare del tutto la fase della separazione in presenza di istanza congiunta dei coniugi.
Avanti adagio, insomma, come elefanti nel cuore di una cristalleria, per raggiungere, paradossalmente, l'obiettivo della celerità. E diventare competitivi con l'istituzione che del matrimonio detiene il marchio di fabbrica: la Santa Romana Chiesa. Differente l'impostazione: per il diritto civile il coniùgio è un contratto, che è possibile sciogliere. Per la Chiesa, invece, è un'unione indissolubile che al più può essere annullata. Da un punto di vista pratico, al netto delle questioni spirituali, gli effetti sono identici, almeno agli occhi di chi li persegue: fine del rapporto. Chi si sposa sull'altare, però, può scenderne più in fretta di quanto non possano fare, calcando i gradini di un qualunque Comune d'Italia, quanti contraggono matrimonio davanti all'ufficiale di stato civile. In media, bastano 2 anni: 12 mesi se ne vanno per il pronunciamento del Tribunale ecclesiastico regionale territorialmente competente. Se il secondo grado (celebrato davanti a differente Tribunale ecclesiastico) conferma, con un altro anno arriva la sentenza esecutiva. Altrimenti resta, quale arbitro supremo, la Sacra Rota. Un percorso lineare e neppure costoso, ricorda Vincenzo Di Michele nel suo ultimo libro, Come sciogliere un matrimonio alla Sacra Rota , volume che ha un sottotitolo significativo della differente «potenza di fuoco» dell'annullamento religioso del matrimonio: «Senza riconoscere un sostegno economico all'ex coniuge».
«Non è un caso - spiega lo scrittore romano - che il codice di diritto canonico abbia previsto sia il patrocinio gratuito sia la figura del Patrono stabile, preposto a una difesa d'ufficio a favore di tutti coloro ne facessero richiesta».
I numeri testimoniano: tra primo e secondo grado, avvocati rotali (e Iva) compresi, si spendono tra i 2.200 ed i 4.500 euro. Certo, manca la facoltà di attivare la procedura consensuale, ma l'ampiezza dei motivi causa di nullità fa da contrappasso consolatorio: si va dall'impotenza all'incapacità di natura psichica al narcisismo, ma nell'elenco figurano anche l'alcolismo, la propensione alla poligamia e, addirittura, il mammismo.
A conti fatti, quasi un'alternativa concorrenziale al divorzio di Stato, sottolinea Di Michele, «tanto che Benedetto XVI durante il suo pontificato aveva rivolto un severo ammonimento sul punto». Per stringere le maglie - a volte larghe - in cui s'infilano i furbetti, ma pure per andare incontro alle esigenze concrete dei fedeli, già il Papa emerito aveva dato incarico al Pontificio Consiglio per i testi legislativi di approfondire la questione e, inoltre, dimezzare i tempi dell'iter per l'annullamento delle unioni matrimoniali. Con Papa Francesco ha visto la luce un'apposita commissione, per un obiettivo che il teologo Bruno Forte a settembre illustrava sull'Osservatore Romano: «Eliminare l'obbligatorietà della doppia sentenza conforme, procedendo al secondo grado solo se c'è appello entro un arco temporale definito». E magari assicurare la gratuità dei processi, come auspicato da Bergoglio all'inaugurazione dell'anno giudiziario della Rota Romana.
Sempre avanti, la Chiesa.
anche nel nostro paese si accorceranno i tempi per dirsi addio per sempre quando il matrimonio naufraga.
L'ok del Senato (228 voti favorevoli) al provvedimento è arrivato in un clima di sostanziale distensione politica dopo che ieri è stata stralciata la parte che conteneva il divorzio immediato. Ora serve il sì della Camera per l'approvazione definitiva di questo ddl presente nell'agenda parlamentare dal 2003. La nuova normativa prevede che non servano più gli attuali tre anni di separazione per poter presentare domanda di divorzio. Quando la norma, se approvata anche dalla Camera, entrerà in vigore basteranno dodici mesi in caso di separazione giudiziale e soltanto sei mesi se avvenuta invece consensualmente. Novità temporale anche per la divisione dei beni: la comunione infatti verrà meno nel momento in cui il giudice autorizza i coniugi a vivere separati.
Dopo lo stralcio del divorzio immediato, che aveva
spaccato la maggioranza, la portata innovativa della legge dunque resta molto ridotta, L'Italia rimane infatti tra i pochissimi paesi in Europa ad avere ancora tempi di attesa tra separazione e divorzio.di Gianpaolo Iacobini
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.