Cronache

Ecco le prove: con i lager libici non c'entriamo

I racconti dei migranti venduti all'asta come schiavi risalgono al 2014. Tre anni prima dell'accordo sui respingimenti

Ecco le prove: con i lager libici non c'entriamo

«I libici ti fermano per strada e, se vedono che sei un migrante, possono farti quello che vogliono, picchiarti, derubarti, costringerti a lavorare per loro». È il racconto di un profugo eritreo di 17 anni che ha subito a Tripoli maltrattamenti infami prima di riuscire a imbarcarsi per l'Italia. Ancora prima, durante il viaggio verso la Libia, era stato consegnato dai trafficanti alle bande di beduini che lo avevano portato nel Sinai, tenuto prigioniero e torturato, mozzandogli un pezzo d'orecchio e mandandolo alla famiglia, finché i parenti non avevano pagato un riscatto di 30mila euro per liberarlo.

Un racconto atroce che suona molto simile a quelli che si leggono in questi giorni sui quotidiani di tutta Europa, una storia horror che riecheggia anche il servizio choc della Cnn sui migranti venduti all'asta come schiavi. C'è una sola differenza: il racconto, reso dal giovane migrante nel centro di accoglienza di via Aldini a Milano, risale al 2014. Cioè tre anni prima dell'accordo dell'Italia con la Libia per respingere i gommoni. Eppure, da giorni, una filiera di professionisti dell'azione umanitaria, la cui punta di diamante è l'Alto Commissario per i diritti umani, Zeid Ra'ad Al Hussein, insiste a puntare il dito contro l'Italia e l'Europa per quell'accordo con il governo provvisorio di Tripoli, individuandolo come causa scatenante delle torture e della schiavizzazione dei migranti.

È un'incredibile deformazione della realtà sostenere che queste terribili violenze siano conseguenza dell'azione del ministro Minniti. Ed è altrettanto incredibile che, prima dell'intesa Italia-Libia, girassero centinaia di foto e video sulle morti in mare, a comprovare la necessità dell'opera di salvataggio che ha permesso alle Ong di raccogliere donazioni per decine di milioni di euro, mentre si parlasse poco o nulla delle violenze e della morte a cui i migranti andavano incontro in Libia, in attesa di imbarcarsi, e durante il viaggio nel deserto per arrivare fino ai porti da cui partivano per l'Italia. Allora, come ora, c'erano campi di prigionia, vessazioni, schiavitù, ma pareva che non contassero nulla: ci raccontavano solo delle morti in mare.

Certo, l'accordo con la Libia è tutt'altro che perfetto e la situazione dei migranti resta degna di attenzione da parte delle istituzioni internazionali. Ma ora non è più solo un problema dell'Italia. E forse l'Alto commissario, invece di fare prediche, farebbe bene a darsi da fare in Libia ora che, grazie all'accordo con l'Italia, le istituzioni internazionali hanno qualche possibilità in più di agire in quel Paese allo sbando.

L'Ue almeno ci prova: ieri il presidente dell'Europarlamento Antonio Tajani ha annunciato la visita in Libia di una delegazione di europarlamentari dal 16 al 22 dicembre. Anche Minniti ha reagito alle critiche. E ha dalla sua parte numeri che sono forti quanto il video della Cnn: da inizio 2017 si contano 2.749 dispersi nel Mediterraneo centrale. Nello stesso periodo del 2016, quando le Ong erano al massimo della loro attività, i dispersi sono stati 3.793.

E il ministro può ben vantarsi di quei mille morti in meno e confermare che l'Italia, in ogni caso, non si arrende alle violenze in Libia, ma nemmeno a chi vorrebbe lasciar prosperare la mafia dei trafficanti: «I diritti umani sono irrinunciabili».

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