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Lega sotto il 30% E a Palazzo scoppia il caos

Lega sotto il 30% E a Palazzo  scoppia il caos

Sul portone di Montecitorio Riccardo Marchetti, leghista e vicepresidente della Camera, guida il tentativo di rivincita del Carroccio che si sente bersaglio di quella magistratura che ha preso una cotta per i 5stelle. «Noi leghisti comunica abbiamo aderito tutti all'iniziativa legislativa che prevede la separazione delle carriere in magistratura. Ora ci aspettiamo tutti di ricevere nelle prossime settimane un avviso di garanzia». Non è un'iniziativa isolata, tutt'altro, perché ha la benedizione di Matteo Salvini che proprio ieri l'ha messa sul tavolo come punto cardine della riforma della giustizia. Altro leghista, altra proposta per disturbare i sonni di Giuseppe Conte e Giggino Di Maio. Mercoledì sera Erika Stefani, ministro per le Regioni, è tornata alla carica con il premier per rilanciare il disegno di legge sull'Autonomia. Conte, al solito, ha tergiversato, ma l'anima «verde» della maggioranza gialloverde non demorde. «Porteremo assicura in mezzo al Transatlantico il capogruppo dei deputati leghisti, Maurizio Molinari un'ipotesi d'intesa tra Stato e Regioni nel Consiglio dei ministri della prossima settimana. Vedrete». Poco più in là, seduto su un divano, il sottosegretario all'Economia, Massimo Bitonci, è, invece, più pessimista e si limita a dare voce alla «fredda» rabbia leghista. «Non so cosa succederà dopo il 27 maggio confida ma la vedo molto più dura rispetto al passato. Come si fa ad andare avanti così?!».

Nell'anniversario dell'assassinio di Aldo Moro, nel Day after del siluramento del sottosegretario Siri e del ritorno impetuoso delle procure nel gioco politico e, per dirne un'altra, a 24 ore dal consiglio dei ministri in cui quello che era considerato il «maschio Alfa» del governo, Matteo Salvini, è stato privato dell'«Alfa», il Palazzo si è trasformato in un alveare impazzito. Si sono perse le certezze degli ultimi sei mesi, caratterizzate dall'«invincibilità» del Capitano leghista, senza acquisirne altre. Il disorientamento è generale. E, come ha imparato a sue spese un pezzo di classe politica, la confusione è proprio la condizione più congeniale per Giggino e i suoi, che, presentandosi per parafrasare quello che Leonardo Sciascia diceva «dell'antimafia» come «i professionisti dell'anti-corruzione», puntano a riguadagnare il terreno perduto nei consensi. E in parte ci riescono. L'ultimo sondaggio della maga Ghisleri vede il Carroccio, per la prima volta da mesi e mesi, sotto il 30%: in una settimana il partito di Salvini ha perso quasi 3 punti (per la precisione il 2,8%), scendendo al 29,6%. I 5stelle, invece, hanno ripreso uno 0,9 risalendo fino al 21,5%. Cosa che, però, non gli consente di riprendere il secondo posto, visto che il Pd è sopra con il 21,9%. Mentre Forza Italia perde lo 0,2% e si ferma al 10,1% e la Meloni è stazionaria al 5,3%. A ben vedere si sta verificando l'equazione che favorirebbe lo «status quo»: Lega sotto il 30% e grillini sopra il 20%.

Uno «status quo», che, semmai si verificasse, sarebbe pieno di incognite e di timori specie per il Paese, che sarebbe condannato all'immobilismo, in balia di una crisi economica sempre più grave che sfocerà in autunno in una legge di bilancio che potrebbe avere contorni drammatici, e, contemporaneamente, dello stallo pieno di rancori che regolerà d'ora in avanti i rapporti tra due forze di maggioranza. A una proposta della Lega, infatti, corrisponderà sempre una ipotesi di lavoro dei 5stelle che punterà più che altro a eliderla. E viceversa. Un po' come la flat tax rilanciata da Salvini, a cui Di Maio ha contrapposto il salario minimo: nella cornice economica in cui versa il Paese non se ne farà nulla. Uno «status quo», quindi, che non è figlio di un progetto o di una politica comune, ma dell'impotenza di un quadro politico bloccato e, soprattutto, della paura.

È la fatale risultante di una campagna elettorale che ricorda quelle degli anni di Tangentopoli, cadenzata da inchieste, arresti e avvisi di garanzia. È la conseguenza del ritorno sulla scena della magistratura interventista (Davigo), che condivide la stessa filosofia di una movimento giustizialista che questa volta, però, occupa la stanze dei bottoni, si tratti di Palazzo Chigi o del ministero di Giustizia. In queste condizioni come può un Salvini che si sente nel mirino rischiare una crisi di governo o osare la strada delle elezioni anticipate? Ci vorrebbe un coraggio da «maschio Alfa», cioè l'attributo che Salvini sembra aver smarrito. Del resto la magistratura, direttamente o indirettamente, nella seconda Repubblica ha tagliato le ali a molti: da Berlusconi a Renzi. E questa nuova ondata di «giustizialismo» è ben più preoccupante delle altre. «Il network grillini-Davigo ammette il piddino Dario Franceschini era proprio quello che avremmo dovuto evitare. Almeno Magistratura democratica aveva una sua aplomb istituzionale». «Davigo osserva Ignazio La Russa, consigliere della Meloni, che lo conosce bene è il vero giacobino. Se potesse, rintrodurrebbe l'uso della ghigliottina».

Una consapevolezza che hanno in molti. Il mix è pericoloso specie se l'opinione pubblica, appunto, è confusa e disorientata. Sabato scorso a Firenze una cena con Salvini di finanziamento della campagna elettorale, è saltata per assenza di commensali. La stessa cosa è capitata a Zingaretti, sia a Milano, sia a Roma. Dentro Forza Italia, ferita dalle inchieste, ci si interroga sul futuro. «Il colpo ammette Mariastella Gelmini è stato duro, ma dovremmo prendere una posizione forte con la Lega, per riportare Salvini alla realtà. E restare, soprattutto, uniti». Il rischio è proprio questo, che la vicenda lombarda favorisca la diaspora. «Tutti si guardano in giro racconta Osvaldo Napoli c'è chi guarda ad un Matteo, chi all'altro». Intanto Toti fa la campagna elettorale per i candidati di Fratelli d'Italia. L'unico che indomabile tenta di riportare ordine, al solito, è il Cav. «In un momento così drammatico ripete dobbiamo ridare un sogno agli italiani».

Ma se Atene piange, Sparta non ride. Ieri mattina a Montecitorio Pierluigi Castagnetti, ex segretario del Ppi e grande amico di Mattarella, ha confidato all'ex azzurro Mario Mauro, i timori dell'anima moderata per la virata a sinistra del Pd. «Se torna la Ditta si è sfogato noi nel Pd che ci stiamo a fare?! Meglio immaginare altro».

Così, alla fine, la «crisi» delle opposizioni finisce per favorire «l'immobilismo». «Ma perché Salvini e Di Maio dovrebbero rompere?», si domanda il leghista Alessandro Benvenuto: «Per andare ad un governo tecnico? Qui di elezioni non c'è aria. Se mia nonna, dico mia nonna, si mettesse nel cortile di Montecitorio raccoglierebbe subito 200 parlamentari pronti a tutto pur di evitare le urne.

Come si dice a Roma: se rompi n'do caz vai?!».

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