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Renzi mette in riga il Pd: "Prendere o lasciare, non siamo al Bar sport"

Il segretario: "O si ridà dignità alla politica o si discetta di riforme impossibili". Si oppone soltanto Cuperlo, che se ne va prima del voto

Renzi mette in riga il Pd: "Prendere o lasciare, non siamo al Bar sport"

Con abile regia, Matteo Renzi (complice Berlusconi) ha aspettato l'ultimo momento per calare l'asso che ha mandato in confusione la minoranza interna al Pd, che si preparava a mettergli i bastoni tra le ruote. L'accordo sul cosiddetto «doppio turno» (che in verità è un ballottaggio eventuale tra le prime due coalizioni per assegnare il premio di maggioranza) era da sabato, ma l'annuncio è arrivato solo ieri, alla Direzione del Pd. Che il segretario ha messo davanti ad una scelta secca: prendere o lasciare, «decidete se volete essere la politica e recuperare la dignità perduta, o se volete restare al bar Sport» a discettare di riforme che non si fanno mai. Alla fine, la linea del segretario passa con 111 sì e 34 astenuti. Ma la minoranza ex bersaniana è in subbuglio, con Gianni Cuperlo che medita le dimissioni da presidente del Pd dopo un duro scontro con Renzi. L'ex competitor è stato l'unico a intervenire per contestare la linea del segretario, accusando la sua proposta di essere incostituzionale. Massimo D'Alema ha lasciato la riunione in silenzio, mentre tutti i big - da Franceschini a Fassino fino a Walter Veltroni, tornato a parlare per la prima volta dopo le elezioni - sono scesi in campo per chiedere di cogliere «un'occasione storica», e per invocare l'unità del partito. «Anch'io provai a fare le riforme con Berlusconi», ricorda Veltroni, «e non ci riuscii perché lui, grazie alla debolezza del nostro governo, era diventato troppo forte».
«Ad un mese dalla mia elezione - dice Renzi -vi propongo un accordo» che può contare sulla maggioranza dei voti in Parlamento, articolato su tre perni: superamento del bicameralismo e soppressione del Senato, riforma del regionalismo, legge elettorale. E non si provi a chiedere una modifica qui e una là, perché «l'accordo sta in piedi tutto insieme o non sta, e va all'aria tutto». Renzi chiede «tempi certi» in Parlamento, ben sapendo che in molti (dagli alfaniani ai bersanian-lettiani) cercheranno di fare «strane alchimie sulla tempistica» per affossare le riforme: «entro il 15 febbraio la legge elettorale deve essere approvata dalla Camera, e passare al Senato». Una legge elettorale, annuncia, con cui «diciamo ciao-ciao a chi, anche tra noi, sognava il ritorno alla Prima repubblica» col proporzionale cucinato dalla Consulta. Il progetto, ammette, ha dei punti deboli, «anch'io avrei preferito un sistema spagnolo seccamente bipartitico», ma quei punti deboli (come il riparto nazionale dei seggi, che può salvare la vita al Ncd) sono dovuti al fatto che «ci è stato chiesto di evitare fratture nella maggioranza». Insomma, di questo ringraziate Letta e Napolitano (oltre ad Alfano). E «va riconosciuto il senso di responsabilità di Berlusconi» che ha accettato. Gli attacchi per l'incontro con il Cavaliere Renzi li liquida brutalmente: «Quelli che mi accusano di averlo portato al Nazareno, e gli sono grato per aver accettato di venire qui, sono gli stessi che hanno fatto di tutto per portarlo a Palazzo Chigi. Oggi facciamo le regole con Berlusconi per evitare di farci assieme un governi in futuro». E d'altra parte, chiede ironico, «con chi dovevo discutere di Forza Italia, per non parlare con Berlusconi? Con Dudù?». Cuperlo attacca: «Una cosa è discutere anche con il leader di Forza italia, un'altra è stringere un patto costituzionale con un interdetto». E chiede di introdurre le preferenze. «Avrei voluto sentirti difendere le preferenze dire quando sei stato eletto nelle liste bloccate», infierisce Renzi. Cuperlo si alza e se ne va, i suoi si astengono e la linea del leader passa a larghissima maggioranza. Stasera il confronto col gruppo parlamentare. «In direzione ci si può anche dividere.

Poi in Parlamento ci si attiene alle decisioni», è l'avvertimento di Renzi.

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