Cronaca locale

«Ma Cibo per tutti non resti uno slogan»

Caritas: i nostri pacchi viveri non bastano, servono politiche per la povertà

Sabrina Cottone

C'è un mondo sempre meno sommerso di persone che non sono mai uscite dalla lunga crisi del 2008. E mentre la Milano che può, o che anche soltanto vuole concedersi una serata diversa per distrarsi dalle difficoltà, insomma molti di noi fanno la fila nei ristoranti gourmet per Milano Food City, arrivano come un pugno nello stomaco i dati diffusi dalla Caritas ambrosiana: nell'ultimo anno sono stimate a quota trentamila le domande di aiuti alimentari alle sole parrocchie della Diocesi.

«Uno slogan è Cibo per tutti, Food for all. Sui principi siamo sempre tutti d'accordo, poi bisogna tradurli in azioni concrete verso coloro che fanno fatica ad accedere al cibo e il nostro compito è essere coscienza critica» commenta Luciano Gualzetti, direttore della Caritas ambrosiana. «A Milano non si muore di fame - osserva - ma i poveri rischiano di contrarre le spese più contraibili che sono quelle del cibo, mentre non si possono certo contrarre i debiti o altre spese più necessarie. Il vero problema è che per molti c'è un reddito insufficiente».

L'appello è rivolto agli amministratori: «Senza politiche contro la povertà noi possiamo dare tutti i pacchi viveri di questo mondo, ma non bastano. È un discorso rivolto alle istituzioni ma anche a chi vota e a chi consuma, chi nel piccolo e chi nel grande. La povertà è un tema che deve entrare nell'agenda politica milanese come argomento condiviso e non essere visto come un fastidio per chi sta bene. Parlare di povertà non è certo di moda, non vedo grandi slanci».

Nel quattordicesimo rapporto Caritas, che nel 2015 è stato dedicato espressamente alla povertà alimentare, sono censite 18 mense attive a Milano e in Diocesi che in quell'anno hanno garantito 2.077.224 di pasti gratuiti. Nello stesso periodo sono stati distribuiti 15.277 pacchi viveri. Fin qui i numeri, che nella loro secchezza dicono già molto.

A Milano non si muore di fame, però spesso non si arriva a fine mese e allora pur di pagare la bolletta o riuscire a far studiare i figli, molti decidono di andare a chiedere il pacco viveri in parrocchia. E non solo. Le code all'associazione Pane quotidiano fanno parte del nostro orizzonte visivo e ci siamo ormai abituati a quei lunghi serpentoni umani, al punto che forse non ci sorprende sapere che nel 2016, tra le sedi di viale Toscana e viale Monza, sono state in attesa del cibo oltre ottocentomila persone. Quasi 750mila gli assistiti dall'Opera San Francesco per i poveri e tante migliaia dai Fratelli di san Francesco d'Assisi. Una mancanza di cibo che esiste, anche se è diversa dalla miseria dell'Ottocento di Dickens o vissuta oggi a latitudini lontane.

La povertà ci è vicina, «sia pure come difficoltà a nutrirsi in modo adeguato e a far mangiare correttamente i figli, con una dieta che contempli proteine, frutta e verdura, e queste carenze si trasformano spesso in disagi o malattie premature». Come spiega ancora Gualzetti, commentando l'aumento del 30% della richiesta di pacchi viveri tra il 2008 a oggi: «Dobbiamo domandarci perché chi non ha cibo non ce l'ha. I pacchi viveri sono un primo passo ma dobbiamo arrivare a politiche di lotta alla povertà che aiutino ad accedere al lavoro e a una casa dignitosa. Noi della Caritas cerchiamo di avere uno sguardo a 360 gradi.

Siamo sul piano dell'assistenza e dell'aiuto immediato, ma poi è necessario anche fare altro».

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