Cronaca locale

«Tar, no ai direttori stranieri? Ma la cultura non ha confini»

Fassey, presidente del Conservatorio: «Il 30% dei nostri studenti arriva dall'estero. Conta solo la competenza»

Marta Bravi

«Sono allibito. Mi sembra strabiliante che si possa pensare ancora che l'arte e la musica abbiano dei confini. La prima cerimonia ufficiale di insediamento alla presidenza della Repubblica francese, Emmauel Macron ha fatto suonare non la Marsigliese, ma l'inno europeo». A parlare così è Ralph Alexandre Fassey, presidente del conservatorio Giuseppe Verdi, francese ma in Italia da 25 anni. Straniero a capo di un'istituzione statale. Il Conservatorio ha criteri di ingaggio diversi da quelli che regolano il lavoro nel pubblico impiego, messo in discussione giovedì da una sentenza del Tar che ha annullato le nomine di cinque direttori stranieri di importanti poli museali statali. Per l'ente di alta formazione musicale l'unico prerequisito è un curriculum europeo, per cui Fassey diciamo è «fuori pericolo».

Diversamente dal collega James Bradbourne, direttore generale della Pinacoteca di Brera, canadese naturalizzato britannico: un ricorso contro di lui potrebbe metterne a rischio la posizione. «La decisione dei giudici è assolutamente sbagliata - continua Fassey - non è la carta di identità che conta, ma la competenza. il 30 per cento dei nostri allievi per esempio è straniero. I discorsi di protezionismo e chiusura dei confini si possono fare in campo fiscale o commerciale, ma le arti sono di tutti. I nostri studenti per esempio hanno fatto carriera in tutto il mondo»

Come mai il conservatorio risponde a regole diverse? «Non mi chieda dei misteri dell'Italia, questo caso rappresenta perfettamente quella fetta dell'Italia arroccata al conservatorismo, che non vuole assolutamente cambiare- replica il presidente parigino- Perchè ho scelto di venire a lavorare in Italia? Perché il mio lavoro di manager mi ha portato qui 25 anni fa e per passione: amo questo paese, nonostante le difficoltà». Straniero a capo di un ente pubblico italiano, risponde in «pieno conflitto di interessi»: «Cosa penso della nomine del ministro alla Cultura Franceschini per i poli museali statali? Penso che sia ottima: chiamare chi è competente al di là del passaporto, d'altronde sono tantissimi gli italiani che hanno fatto carriera all'estero». L'ultimo caso, tra l'altro milanese, è proprio quello di Claudia Ferrazzi, dirigente comunale per il Marketing territoriale, chiamata da Macron a entrare a fare parte del suo staff per la cultura.

Fassey conosce anche Bradbourne, nominato prima di lui: «Il direttore generale della pinacoteca di Brera l'ho conosciuto qui a Milano, ma ci siamo subito trovati bene». Il sindaco Sala due giorni fa lo aveva difeso a spada tratta: «Bradburne sta facendo un lavoro egregio e dover ricominciare da capo mi sembrerebbe una cosa sbagliata». Anche fassey giudica «eccezionale» il lavoro di Bradburne: «l'idea di aprire Brera alla città è fantastica. Sto cercando di farla mia per trasformare in questi cinque anni di mandato il Conservatorio nel polo musicale della città. Con Bradburne stiamo lavorando a un progetto comune, per combinare appunto arte e musica». Infine uno sguardo a un'altra eccellenza musicale milanese, il teatro alla Scala: «Mi pare che anche Alexander Pereira sia straniero, e prima di lui lo era Stephane Lissner».

Sulla questione interviene anche l'assessore alla Cultura Filippo Del Corno, che in attesa della sentenza del Consiglio di Stato, si chiede: «Perché privare i musei italiani della possibilità di avvalersi di direttori competenti e autorevoli? All'estero non lo fanno, e molti sono infatti gli italiani in posizioni apicali in musei di grande importanza e prestigio».

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