Perché siamo poco informati sulla crioconservazione

Perché siamo poco informati sulla crioconservazione

Da un ampio studio condotto dall'Organizzazione mondiale della sanità pubblicato da Plos Medicine, che ha analizzato i dati di 277 ricerche demografiche e sulla salute riproduttiva relative a 190 paesi, è emerso che il tasso d'infertilità nel mondo è rimasto praticamente invariato tra il 1990 e il 2010.
Se è vero che la percentuale è rimasta la stessa, grazie all'aumento della popolazione mondiale durante l'ultimo ventennio, è anche vero che il numero totale di coppie affette da infertilità è salito dai 42 milioni del 1990 ai 48 del 2010. Numeri che fanno riflettere sulla scelta di ricorrere alla procreazione medicalmente assistita (Pma).
Ma quando si può parlare di sterilità? Si parla di infertilità quando si rileva l'impossibilità di ottenere una gravidanza clinica dopo 12 mesi di tentativi. Nella Pma il rischio più rilevante, oltre alla multigemellarità, è rappresentato dalla sindrome da iperstimolazione ovarica (Ohss: ovarian hyperstimulation syndrome) che è una reazione alla terapia d'induzione all'ovulazione.
Generalmente questa patologia, a carattere benigno, si risolve in pochi giorni, ma in alcuni casi può diventare pericolosa e causa di complicanze gravi. Tutto questo è riconducibile alla somministrazione di uno stimolo farmacologico rappresentato dall'ormone Hcg al termine della stimolazione ovarica per ottenere la maturità dei gameti femminili. Nel corso di nuovi studi, per contenere e limitare gli effetti da Ohss, è stato utilizzato l'antagonista del GnRh per sostituire l'Hcg ottenendo importanti risultati: nessuna donna ricoverata per iperstimolazione grave contro un 1,2% di ricoveri dopo la somministrazione dell'ormone Hcg.
Enormi passi avanti sono stati compiuti negli ultimi anni dalla ricerca per la cura alla sterilità e recentemente l'American society for reproductive medicine (Asrm) ha ufficialmente dichiarato che la crioconservazione degli ovociti non è più da considerare pratica sperimentale. Con il ricorso alla crioconservazione nelle pazienti giovani è possibile ottenere risultati simili alle tecniche tradizionali in cui vengono usati ovociti non congelati. Un traguardo molto importante per le giovani che devono sottoporsi alle cure oncologiche, potenzialmente dannose per l'apparato riproduttivo perché mettono a rischio la fertilità. Ma pare che in questo specifico contesto ci sia molta riluttanza nel fornire informazioni negli ambienti ospedalieri, perché nonostante le alte percentuali di guarigione da alcune forme di tumori, quasi mai le pazienti in età fertile vengono informate delle tecniche di crioconservazione per avere un figlio una volta guarite. ProFert, la Società italiana di crioconservazione della fertilità (www.profert.org), ha effettuato uno studio sulle informazioni disponibili per i pazienti onco-ematologici che ha preso in considerazione i principali ospedali italiani (Milano, Roma, Bologna e Napoli) specializzati nella cura di leucemie e linfomi e i siti Internet delle associazioni di pazienti oncologici. È emerso un quadro sconfortante per la totale assenza d'informazioni a partire dalle sale d'attesa dei centri dove non c'era traccia di libretti, opuscoli o locandine che riportassero indicazioni per conservare la possibilità di procreare dopo una terapia oncologica. Restando sempre nel campo della Pma un altro problema, affrontato in un recente simposio internazionale a Roma, è la diagnosi genetica preimpianto.

Lo screening viene effettuato sull'embrione congelato e secondo la legge 40/04 è consentito solo alle coppie sterili portatrici di malattie genetiche come la fibrosi cistica o la talassemia, mentre viene preclusa alle coppie fertili anche se portatrici di anomalie genetiche importanti.

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