Politica

In 10 anni 250mila giovani fuggiti all'estero Ci costano un punto di Pil: persi 16 miliardi

Lo studio della Fondazione Moressa: poco lavoro e salari troppo bassi

Francesca Angeli

I nostri figli in fuga dall'Italia che non offre loro un futuro. Siamo tornati ad essere un paese di emigranti ma il fenomeno che da dieci anni impoverisce l'Italia, l'emigrazione di giovani brillanti e in maggioranza laureati, è molto diverso da quello che negli anni '50 spinse fuori dai confini italiani milioni di uomini a caccia di un lavoro. Quello attuale avrà conseguenze devastanti dal punto di vista economico eppure nessuno dei governi che si sono succeduti negli ultimi anni ha fatto nulla per contrastarlo.

È la Fondazione Leone Moressa nel suo nono Rapporto sull'economia dell'immigrazione a ribadire che l'Italia è tornata ad essere terra di emigrazione. In dieci anni, è scritto nel Rapporto, abbiamo perso quasi 500 mila italiani e tra loro quasi 250 mila giovani, tra i 15 e i 34 anni.

Non solo. La Fondazione stima che questa fuga abbia comportato una perdita di «ricchezza» per il nostro Paese pari a circa 16 miliardi di euro, ovvero oltre 1 punto percentuale di Pil. É questo il valore aggiunto che i giovani emigrati potrebbero realizzare se fossero occupati nel nostro paese.

Un'emorragia iniziata anni fa e ignorata dalle istituzioni. Nel 2007 i cittadini italiani emigrati erano 51.000 mentre nel 2012 erano già saliti a 68.000. Nel 2014 il primo boom: oltre 100.000 per la maggioranza giovani, maschi intorno ai 29 anni di età e laureati. Quasi un quinto dei giovani che hanno lasciato l'Italia negli ultimi dieci anni viene dalla Lombardia, il 18,3, ovvero 45.000 persone. Poi Sicilia, Veneto e Lazio, con oltre 20 mila emigrati ciascuno. Tra le cause di questo esodo certamente la mancanza di lavoro visto che l'Italia registra il tasso di occupazione più basso d'Europa nella fascia 25-29 anni, 54,6 per cento contro una media Ue del 75. Nella stessa fascia d'età, anche il tasso di Neet, non occupati e non iscritti all'Università è il più alto d'Europa: 30,9 contro la media Ue del 17,1. É in diminuzione poi il tasso dei laureati: tra i 25 e i 29 anni solo il 27,6 è laureato, quasi 12 punti in meno rispetto alla media europea.

A questo quadro negativo si aggiunge il calo demografico e la detanalità: solo 1,32 per donna. Il saldo tra nati e morti è negativo da oltre 25 anni. La diminuzione dei giovani e invece l'aumento della popolazione over 65 crea squilibri pesanti e il sistema rischia di non essere più sostenibile. Nel 2038 gli over 65 saranno un terzo della popolazione.

Uno scenario al quale si deve aggiungere il tassello della situazione del servizio sanitario nazionale. Uno dei settori più affamati di ricambio è quello sanitario: si stima che nel 2025 mancheranno 16.000 specialisti. Una prospettiva confermata dalle notizie che arrivano dal Congresso della Società italiana di Chirurgia. Il 60 per cento dei medici iscritti alla Scuola di Specializzazione in Chirurgia dell'Università di Tor Vergata a Roma afferma che andrà a cercare lavoro all'estero. Il 30 per cento è ancora incerto e condizionerà la propria scelta all'offerta economica e alle prospettive di carriera. È il risultato del questionario sottoposto in forma anonima da Giuseppe Petrella, direttore della Scuola e vice presidente della Sic.

Tra il 2005 e il 2015 circa 10.000 medici laureati in Italia hanno deciso di andare a lavorare all'estero.

Se si pensa che per formare gli specializzandi lo Stato italiano spende di media 300mila euro,il danno che ne deriva per il nostro paese è evidente.

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